13/03/2011
Un'immagine dell'incontro di giovani in servizio civile promosso a Roma (foto di Francesco Carloni/Caritas italiana).
Si sono ritrovati a Roma, alla Domus Pacis, nel nome di Massimiliano, un giovane che rifiutò di prestare servizio militare nelle legioni romane perché cristiano, dunque radicalmente contrario all'uso della violenza, e che perciò venne giustiziato il 12 marzo 295 nel foro di Tebessa, presso Cartagine, nell’attuale Tunisia. Numerosi ragazze e ragazzi hanno partecipato all'ottavo Incontro nazionale dei giovani in servizio civile, promosso dal Tavolo ecclesiale cui dal 2003 aderiscono uffici pastorali della Conferenza episcopale italiana (compresa la Caritas, che coordina le attività del Tavolo), associazioni ed enti di ispirazione cristiana (dalle Acli all'Agesci, dalla Comunità Papa Giovanni XXIII alla Focsiv), tutti organismi impegnati a promuovere il servizio civile come importante esperienza formativa, di servizio agli ultimi, di testimonianza dei valori della pace, della giustizia, della cittadinanza attiva e della solidarietà.
Dopo il saluto di monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Caritas italiana, è intervenuto monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (il testo integrale del suo intervento - “La Chiesa italiana e l’educazione dei giovani alla pace e al servizio” - è qui allegato a parte), seguito, in un dibattito a più voci, dal sociologo Maurizio Ambrosini, dell'Università Statale di Milano, da don Domenico Ricca, cappellano del carcere minorile di Torino e Presidente della Federazione "Servizi Civili e Sociali – Centro Nazionale Opere Salesiane", da Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli e portavoce del Forum nazionale del terzo settore, nonché dal giornalista Carlo Di Cicco, vicedirettore de L’Osservatore Romano, che nel 1972 finì in carcere per aver scelto l'obiezione di coscienza al servizio militare.
In particolare, monsignor Crociata ha denunciato il rischio che - per colpa di uno Stato sempre meno sensibile - il servizio civile diventi «irrilevante», coinvolgendo sempre meno giovani e perdendo il suo significato originale di strumento utile «a formare cittadini responsabili e solidali». «Il dato incontestabile da cui partire è il progressivo inaridimento degli spazi offerti ai giovani per forme di educazione alla cittadinanza e al servizio», ha detto monsignor Crociata. «Tale inaridimento è stato causato principalmente da una progressiva “disattenzione” dello Stato nei confronti di questa esperienza e dalla consistente riduzione dei finanziamenti ad essa dedicati, anche a prescindere dalle ristrettezze di bilancio imposte dall’attuale crisi economica. Se la scarsità di risorse dovesse risultare confermata», ha poi aggiunto monsignor Crociata, «il servizio civile è condannato all’insignificanza quantitativa e, di fatto, alla sua irrilevanza. Per essere significativo, infatti, e incidere sulla vita dei giovani del nostro Paese, se vogliamo cioè che questa esperienza contribuisca veramente a formare cittadini responsabili e solidali, non possiamo limitare il servizio civile a un’élite».
All'inizio fu un'esperienza vissuta da chi rifiutava divise e fucili spinto da profondi motivi religiosi, filosofici o morali; da un decennio esatto è qualcosa di più ampio, dal momento che è aperto alle donne: «Nel 2011 si capirà se
l’esperienza
nata nel nostro Paese nel 1972, con gli obiettori di coscienza al servizio militare, e sopravvissuta
alla
fine della leva obbligatoria,
ha
ancora un futuro», dichiara Diego Cipriani, responsabile dell'Ufficio solidarietà e servizio civile della Caritas italiana, nei cui centri, oggi, si stanno rimboccando le maniche circa 750 tra ragazzi e ragazze, provenienti da 14 regioni ecclesiastiche su 16 (al momento non sono ci sono giovani della Sardegna e della Basilicata). «Proprio quest’anno, infatti, il
servizio
civile - volontario e non più sostitutivo della leva - compie dieci anni, regolato com'è dalla legge numero 64 del 6 marzo 2001 che fissa natura e compiti del servizio civile precisando che il suo
scopo è la difesa della Patria
(articolo
52 della Costituzione) “con mezzi e attività non
militari” e che i suoi obiettivi sono favorire la
realizzazione del principio di solidarietà e contribuire “alla formazione civica, sociale, culturale e professionale
dei
giovani”».
«Il
20 dicembre 2001 sono partite le prime 181 ragazze in
progetti
di cinque enti, tra cui Caritas Italiana», ricorda Cipriani. Che prosegue: «La
progressione quantitativa è stata impressionante: i
396
posti messi a bando nel 2001 sono lievitati l’anno dopo
a
16.079 e a 35.897 nel 2003 . In dieci anni sono arrivati a
essere
poco meno di 300 mila, coperti al 90 per cento. Il culmine si
è
raggiunto nel 2006, con 57.119 posti. Poi è cominciata la
parabola
discendente: in due anni posti dimezzati, fino ai
20.700
banditi l’anno scorso, che quest’anno diminuiranno
ulteriormente,
dato che la finanziaria ha previsto
per
il 2011 risorse per soli 110 milioni di euro, la cifra più
bassa
da quando è nato il servizio civile nazionale. Lo Stato non riesce a soddisfare né l’offerta
di
servizio civile proveniente dai pezzi di società che condividono
le
finalità di questa esperienza, né la domanda di
servizio
dei giovani italiani. Possibile che sia solo una questione
di
soldi che mancano e di crisi economica, e non piuttosto di “disattenzione” da parte
delle istituzioni?».
«Eppure», conclude Diego Cipriani, «la positività dell’esperienza del
servizio, al di là
di immancabili ombre, è unanimamente
riconosciuta.
Basta guardare al gradimento tra i giovani,
quelli che vi
aspirano ma soprattutto coloro che il
servizio civile lo
fanno, in Italia o all’estero. A certe
condizioni (che lo Stato
è chiamato costantemente a
verificare e controllare) è veramente palestra di cittadinanza, vale più di
tante lezioni
sulla Costituzione, aiuta a
far crescere cittadini responsabili,
fornisce un bagaglio di esperienze unico, attivando
spesso percorsi d’impegno
successivi, anche di tipo lavorativo.
E potrebbe rivelarsi un
formidabile percorso d’integrazione
per i giovani immigrati, o
un’esperienza di inclusione
per giovani in difficoltà e
ai margini».
Alberto Chiara
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