13/03/2011
Monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei). Foto di Francesco Carloni/Caritas italiana
La Chiesa in Italia
e l’educazione dei giovani alla pace e al servizio
VIII incontro nazionale annuale dei giovani in servizio civile
Roma, 12 marzo 2011
Monsignor Mariano Crociata
Ho più di un motivo di soddisfazione nel partecipare a questo incontro nazionale
dei giovani in servizio civile negli enti di ispirazione cristiana. Ringrazio, quindi, il
Tavolo ecclesiale che ha promosso la giornata, a dieci anni dalla legge 64 del 6 marzo
2001, che istituiva il nuovo Servizio Civile Nazionale, sulla scorta dell’obiezione di
coscienza e del servizio civile che ha visto protagonisti, sin dal 1977, Caritas Italiana e
molti altri enti di ispirazione ecclesiale.
Un po’ di storia
Il servizio civile degli obiettori di coscienza, ieri, così come quello dei giovani
volontari, oggi, costituisce un prezioso patrimonio, un luogo in cui, soprattutto grazie a
Caritas Italiana, la Chiesa si è fatta prossima al mondo giovanile, indicandogli la strada
del servizio e della pace. Il valore di questa presenza appare con maggiore evidenza se la situiamo nel contesto degli anni Settanta: il mondo giovanile era attraversato da attese di cambiamento sociale, ma anche da una drammatica spirale di violenza politica che lo insanguinò per anni. Ebbene, la scelta di indicare a quella generazione di giovani il rifiuto delle armi e il servizio agli altri come possibilità di un modo diverso di vivere, appare oggi con chiarezza come una straordinaria testimonianza evangelica ed ecclesiale. Un segno di contraddizione e, insieme, una scelta educativa, espressione di un modo diverso di
concepire e vivere la costruzione del bene comune.
Non mi sembra improprio mettere accanto a figure come quelle di Vittorio Bachelet, Aldo Moro, Luigi Calabresi e tanti altri, che hanno pagato con la vita il loro agire da cristiani, la testimonianza operosa e pacifica che migliaia di giovani hanno saputo dare al nostro Paese in un tempo drammatico. La fecondità di quella scelta è testimoniata anche dalla compagnia delle associazioni e dei movimenti ecclesiali che spesso hanno costituito l’humus nel quale sono maturate le scelte all’obiezione e al servizio di molti giovani. A loro volta, queste diverse espressioni della vita ecclesiale hanno ricevuto tanto dalla presenza, nelle proprie fila, degli obiettori di coscienza; forte è stata anche la sintonia tra esse e Caritas Italiana, come testimoniato anche dai cammini comuni che portarono, nel 1982, all’organizzazione della prima Conferenza nazionale degli obiettori promossa dalla stessa Caritas, dall’Azione Cattolica, da Comunione e Liberazione, dall’Agesci e dalle Acli.
Questa compagnia è diventata poi cammino comune quando, a partire dal 2003, si è
dato vita al Tavolo Ecclesiale sul Servizio Civile, un coordinamento di organismi della
Chiesa in Italia che promuove il servizio civile come importante esperienza formativa, di
servizio agli ultimi, di testimonianza dei valori della pace, della giustizia, della
cittadinanza attiva e della solidarietà. Al Tavolo (che non casualmente nacque poche ore
dopo l’udienza concessa da Giovanni Paolo II) aderirono sin da subito alcuni Uffici della
Cei (l’Ufficio nazionale per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese, l’Ufficio nazionale
per i Problemi Sociali e il Lavoro, il Servizio nazionale per la Pastorale Giovanile), e poi
anche l’Azione Cattolica Italiana, la Fondazione Migrantes e Caritas Italiana, che ne
coordina le attività. Dal 2006 al Tavolo hanno aderito anche altri organismi, associazioni,
movimenti ed enti accreditati che, riconoscendosi in quelle finalità, contribuiscono alle
sue iniziative e alla riflessione comune: ACLI, AGESCI, Misericordie, Comunità “Papa
Giovanni XXIII”, Confcooperative–Federsolidarietà, Cenasca-Cisl, Centro Sportivo
Italiano, Volontari nel mondo–FOCSIV, GAVCI, Federazione SCS/CNOS, CDO
Opere Sociali e Anspi.
Mi sembra, quella del Tavolo, una significativa esperienza di lavoro comune,
capace di costruzione di una efficace rete all’interno dei nostri territori.
Quando agli inizi degli anni Duemila si prospettò anche per l’Italia la fine della
leva obbligatoria, furono in molti a temere la fine dell’esperienza del servizio civile.
Nacque anche un “cartello” di enti e associazioni, tra cui molti di area ecclesiale, “a
difesa del servizio civile”. E subito dopo l’approvazione della legge istitutiva del “nuovo”
servizio civile nessuno sapeva se la proposta di un servizio per un anno, aperta per la
prima volta anche alle donne, avrebbe incontrato il favore dei giovani. A leggere oggi i
dati, si può dire che quei timori erano infondati; infatti sono stati utilizzati interamente i
poco meno di trecentomila posti inseriti nei bandi emanati dal 2001 al 2010.
Il nuovo Servizio Civile Nazionale rimane dunque uno spazio di incontro con
l'altro, di crescita, di servizio; uno spazio alternativo, non più e non solo alla scelta del
servizio militare, ma ad alcuni pretesi “valori” di questo mondo, indicando sempre
un’idea non individualistica della propria vita, aperta agli altri, capace di mettersi a
servizio, di confronto, di dialogo, in un tempo segnato anche da grandi sfide come, ad
esempio, quella migratoria.
A rischio irrilevanza
Occorre tuttavia rilevare che, come tumultuosa è stata la crescita quantitativa del
nuovo servizio civile nei primi anni, così progressiva e sempre più pesante è stata la
frenata imposta a tale crescita. Oggi, infatti, a dieci anni esatti dall’inizio di questa nuova
esperienza, il dato incontestabile da cui partire è il progressivo inaridimento degli spazi
offerti ai giovani per forme di educazione alla cittadinanza e al servizio. Tale inaridimento è stato causato principalmente da una progressiva “disattenzione” dello Stato nei confronti di questa esperienza e dalla consistente riduzione dei finanziamenti ad essa dedicati, anche a prescindere dalle ristrettezze di bilancio imposte dall’attuale crisi economica.
Le prospettive per il 2011-2013, stanti le disponibilità finanziarie contenute nella “Legge di stabilità” approvata a fine 2010 (nella quale è stata stanziata la somma più bassa destinata al servizio civile in tutto il decennio), prefigurano un’ulteriore diminuzione del numero di volontari. Se la scarsità di risorse dovesse risultare confermata, il servizio civile è condannato all’insignificanza quantitativa e, di fatto, alla sua irrilevanza. Per essere
significativo, infatti, e incidere sulla vita dei giovani del nostro Paese, se vogliamo cioè
che questa esperienza contribuisca veramente a formare cittadini responsabili e solidali,
non possiamo limitare il servizio civile a un’élite.
Un valore per la comunità
L’esperienza del servizio civile è stata ed è un’esperienza di educazione civica, una
scuola di cittadinanza, nella quale i giovani si ritrovano a misurare le proprie aspirazioni,
vite, atteggiamenti anche in relazione alle istituzioni. Attraverso l’esperienza del servizio
civile abbiamo offerto ai giovani la possibilità dsa, che hanno un ruolo centrale nel Magistero sociale della Chiesa, ma anche della partecipazione democratica alle sorti del Paese. Oggi, a pochi giorni dalle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è importante ricordare come la partecipazione dei cattolici alla costruzione del Paese sia
passata negli ultimi decenni anche attraverso l’esperienza di tanti giovani che, col servizio
civile, hanno inteso apportare il proprio contributo al progresso della comunità e alla
costruzione della cosa pubblica. L’esperienza del servizio civile è stata e rimane per molti giovani anche una scuola di vita, nel senso che ha costituito per essi un momento per apprendere e vivere non solo alcuni valori, ma anche per imparare a compiere scelte personali. Il contatto con chi vive nel bisogno, in Italia e all’estero, ha fatto maturare una nuova sensibilità per il bene comune e l’attenzione all’altro, soprattutto se più debole.
La mission che il servizio civile riveste per i giovani che lo scelgono è ben sintetizzata nelle parole di Papa Benedetto XVI pronunciate nell’udienza ai giovani volontari del servizio civile nazionale del 28 marzo 2009, quando rivolgendosi direttamente a loro ebbe a dire: «Ciascuno, attraverso questa esperienza di volontariato, può rafforzare la propria sensibilità sociale, conoscere più da vicino i problemi della gente e farsi promotore attivo di una solidarietà concreta. È questo sicuramente il principale obiettivo del servizio civile nazionale, un obiettivo formativo: educare le giovani generazioni a coltivare un senso di attenzione responsabile nei confronti delle persone bisognose e del bene comune».
In precedenza, il Consiglio Permanente della CEI nel 2002 affermava: «In questi
anni, attraverso la scelta dell’obiezione di coscienza e il Servizio Civile, è stata intessuta
una trama di relazioni tra Chiesa, giovani e territorio che ha consentito di realizzare […]
cammini di crescita umana e cristiana, di produrre significative esperienze di solidarietà».
E il Santo Padre Giovanni Paolo II, nell’udienza concessa in Vaticano al personale in
servizio civile l’8 marzo 2003, sottolineava come ciò ha reso possibile «la
programmazione di itinerari di crescita umana e cristiana con significative e diversificate
esperienze di solidarietà», anche grazie al particolare contributo che «tante donne,
attraverso il servizio civile nazionale, hanno dato e continuano ad offrire al consolidarsi
delle comunità civili ed ecclesiali».
È in questa prospettiva che, come Vescovi della Chiesa che vive in Italia, nel documento che traccia gli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, Educare alla vita buona del Vangelo, abbiamo sottolineato che «vanno incentivate proposte educative e percorsi di volontariato adeguati all’età e alla condizione delle persone, mediante l’azione della Caritas e delle altre realtà ecclesiali che operano in questo ambito, anche a fianco dei
missionari» (n. 39). In questa direzione si pongono già le comunità, i centri diurni, le parrocchie, i centri di ascolto e di accoglienza, le cooperative di solidarietà sociale, i gruppi, le associazioni, gli istituti religiosi che hanno accolto e accolgono l’esperienza dei giovani in servizio civile: migliaia di centri operativi sparsi sul territorio dove i giovani hanno concretamente incontrato i poveri, sottraendoli spesso a quell’esclusione sociale che significa anche l’esclusione da circuiti relazionali accoglienti. Senza presunzione, siamo convinti che, anche grazie all’opera degli obiettori di coscienza e ai giovani in servizio civile, le condizioni di vita di molti poveri, che hanno bussato alla porta delle nostre comunità o che ci hanno incontrato sulla propria strada, siano migliorate, ricevendo un aiuto per uscire dal bisogno e dal circuito delle indigenze. Anche questo è un segno di contraddizione per questo tempo, un segno nascosto da serbare nel nostro cuore.
Nel contempo, non si rifletterà mai abbastanza sul significato profondo che, nella
vita di un giovane, può avere il trascorrere alcuni mesi di servizio accanto a un malato
terminale, a un disabile, a un anziano, a un immigrato, a un minore a rischio, a un
tossicodipendente, a un dimesso dall’ospedale psichiatrico. È innegabile il tributo che
tanti giovani devono proprio ad essi, sì ai poveri, perché certamente il loro volto resterà
impresso nel cuore e nella vita. Del resto, a volte è stato proprio grazie alla presenza degli obiettori e dei giovani in servizio civile che le nostre comunità cristiane hanno ingaggiato una pressante azione di civiltà a favore della dignità dei poveri del proprio territorio, operando scelte coraggiose, talora anche confrontandosi con determinazione con la politica o l’opinione pubblica dominante. Perché “fare la verità nella carità” non è senza costo o senza prezzo.
Proprio vivendo accanto ai poveri, gli obiettori hanno avuto la possibilità di
coniugare il loro no alla violenza, soprattutto a quella strutturale, con l’impegno per una
visione più ampia di difesa, una visione integrata, che mettendo come base del proprio
significato la popolazione, e di preferenza le persone più indifese e più deboli, potesse
allargare le proprie prospettive. E questo ha costituito una sfida per le stesse Chiese locali, perché le ha spinte a rileggere il proprio operato in termini di promozione, piuttosto che di assistenza, di liberazione, piuttosto che di semplice risposta a un bisogno concreto. Gli obiettori di coscienza un tempo e i ragazzi in servizio civile oggi, anche grazie alla loro
dedizione in termini di tempo e di disponibilità, si sono rivelati utili antenne per cogliere i
mutamenti che sono intervenuti nel mondo delle povertà in questi anni, contribuendo a
dare risposte efficaci e adeguate ai tempi.
Una conclusione
Gli Orientamenti pastorali, citando il Santo Padre, osservano: «L’avvenire delle nostre società poggia sull’incontro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze» (n. 14). Sono parole che ricordano il mandato che lo stesso Benedetto XVI rivolgeva a quanti abbracciano il servizio civile: «Siate, dunque, sempre e dappertutto strumenti di pace, rigettando con decisione l’egoismo e l’ingiustizia, l’indifferenza e l’odio, per costruire e diffondere con pazienza e perseveranza la giustizia, l’uguaglianza, la libertà, la riconciliazione, l’accoglienza, il perdono in ogni comunità».
Nel rinnovarvi il medesimo appello, rivolgo l’invito agli enti di ispirazione ecclesiale impegnati a seguire questa strada tracciata perché il servizio civile sia sempre più quel “percorso di vita buona” che è stato finora per la Chiesa e l’Italia tutta. A tutti gli operatori impegnati in questo importante settore, ai responsabili degli enti, ai formatori e a tutti i giovani impegnati nel servizio civile in Italia e all’estero vada l’augurio più vivo di un buon cammino.
Monsignor Mariano Crociata