19/06/2012
La realtà che presenta le criticità maggiori è senz’altro quella di Roma: le stime dicono che nella capitale almeno 1.200 persone abitino insediamenti spontanei, mentre a Firenze e a Milano vivano 150 persone. Le amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni, con una serie di sgomberi, hanno contenuto e scoraggiato il fenomeno che oggi è ridotto alla tendopoli dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana. “A complicare il quadro- si legge nel rapporto - si aggiunge la diffusa discordanza tra percorsi teorici di accoglienza nel Paese e prassi operative. L’emergenza alloggiativa rilevata nei tre contesti studiati ha - in un certo senso - esplicitato i fenomeni di frammentazione territoriale. Ne stanno emergendo modelli di cittadinanza sociale degli immigrati in Italia strutturati e definiti non tanto dalle regole nazionali, ma piuttosto dagli orientamenti “politici”, dalle “culture locali di welfare”, dalle risorse già presenti sui territori: fra costrizioni istituzionali, difficoltà di definire un’agenda politica sul tema e ambivalenza del tema nell’opinione pubblica, le politiche per i rifugiati stanno risentendo di problemi non tanto di definizione di un modello nazionale unico di intervento ma di prassi operative lontane dal modello stesso, e inoltre mancano obiettivi e metodologie di intervento condivise”.
L’allarme è rafforzato da quel 37% di intervistati che, giunto in Italia con gli sbarchi del 2008, oggi ha dichiarato di vivere in un insediamento spontaneo: segno che i titolari di protezione internazionale, in realtà, quella protezione non l’hanno mai davvero ricevuta. E anzi, nell’immobilismo e nella burocrazia che li circondano, hanno scelto altre strade, non sempre nel segno dell’integrazione socio-economica. Ma cosa succederà quando i migranti giunti in Italia come conseguenza della “Primavera araba” usciranno dalle strutture di accoglienza?
Alberto Picci