17/05/2010
Manifestanti contro l'odio e le guerre (foto Roberto Brancolini/Perlapace.it)
La guerra civile in Somalia si combatte anche contro chi racconta ciò che sta accadendo. Negli ultimi due anni nel Paese africano sono stati uccisi 27 giornalisti, la gran parte dei quali con esecuzioni mirate.
Nonostante ciò, è possibile fare i giornalisti in Somalia? Secondo Omar Faruk Osman è possibile, ma è molto difficile. Lui, per cercare di avere un minimo di sicurezza, vive ormai costantemente sotto scorta e intorno alla sua casa ci sono otto guardie armate. «La Somalia è diventata uno dei luoghi più pericolosi per fare i cronisti», ha detto.
Faruk lavora in una radio di Mogadiscio, ma è anche presidente della Federazione giornalisti africani e membro del Comitato esecutivo della Federazione internazionale dei giornalisti.
Al Forum, il giornalista somalo ha raccontato quanto sta accadendo nel Paese del Corno d’Africa: la guerra civile, in questa ultima fase, è sempre più uno scontro fra gli estremisti islamici (in particolare i miliziani che si fanno chiamare “Shebab”, che significa “i ragazzi”) e il debolissimo governo transitorio. «Dieci delle 18 province della Somalia centro-meridionale è ormai controllata dagli Shebab», ha aggiunto Faruk, «e la popolazione continua a patire sofferenze indicibili per una guerra che non sembra finire mai».
Ora la situazione umanitaria è di nuovo gravissima. E c’è anche il rischio che nessuno sia più in grado di raccontarlo: i media occidentali non ne parlano, quelli somali sono costantemente nel mirino delle diverse milizie armate. Raccontare la guerra significa esporsi ogni giorno al rischio della ritorsione.
A proposito di Somalia e di giornalisti uccisi nel Paese africano, a Perugia è stato rilanciato l’appello dell’Associazione Ilaria Alpi che chiede ancora una volta verità e giustizia sulla morte dei due giornalisti Rai, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994. L’appello chiede al mondo politico di impegnarsi per il raggiungimento della verità e chiede la riapertura del processo perché «ci sono documenti, testimonianze, informative, inchieste: un materiale enorme, accumulato in 16 anni dalle inchieste giornalistiche, della magistratura, delle commissioni d’inchiesta parlamentari e governative, che “custodisce” le prove» sui traffici di armi e rifiuti che sono all’origine del duplice omicidio. Ma anche su chi ha voluto la loro eliminazione (Per aderire all'appello: www.ilariaalpi.it).
Luciano Scalettari