16/10/2012
Cgm, Gruppo cooperativo nazionale, è la più grande rete di cooperative sociali in Italia. I numeri sono dalla sua parte, testimoni oggettivi del buon lavoro che la rete sociale svolge silenziosamente dal basso. Realtà che sanno ascoltare la gente, cogliendone i bisogni più profondi e cercando in modo strutturato e contemporaneamente istintivo di trovare soluzioni "ad personam". Già, perché il segreto di Cgm è proprio questo: se i numeri infatti gli danno ragione e sono importanti per capire la portata del fenomeno delle cooperative sociali in Italia, dall'altro non dicono tutta la verità e non spiegano fino in fondo il modo in cui le "affiliate" Cgm si approcciano ai problemi, partendo proprio dalle persone ancor prima che dai numeri. E non importa se i soldi non ci sono, se la burocrazia a volte è un ostacolo, se le istituzioni non sempre sono interlocutori credibili e determinati: una persona ha bisogno, la cooperativa si impegna per farla stare meglio. Semplice no? Per niente. "È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo", si potrebbe ironizzare. Ma non c'è spazio per l'ironia quando il valore della produzione di Cgm è pari a 1,3 miliardi di euro con 44.200 addetti, nel 2011 in crescita rispetto all'anno precedente del 4,9%. Il dinamismo delle cooperative sociali, però, se non correttamente stimolato, rischia di sgretolarsi, di "sedersi" e dunque di perdere quella spinta propulsiva che le rende flessibili. Da qui, l'idea di dare nuovo impulso alla rete italiana, ricominciando dalla freschezza delle start up nel segno del connubio tra imprenditorialità e socialità.
Dato il calo delle risorse a disposizione, serve sperimentare e investire (energie) in nuovi modelli, come le 65 forme "ibride" in fase di start up, promossi all'interno di Cgm con vista su nuovi ambizioni traguardi: c'è chi si occuperà di mettere a punto nuove sinergie, c'è chi farà di tutto per differenziare il proprio servizio e crearsi dunque un proprio spazio, c'è chi si confronterà con mercati "diversi"; e ancora, c'è chi sarà chiamato a ristrutturare servizi tradizionali ripensando integralmente le filiere e chi dovrà dare sostanza a progetti di sviluppo comunitario. Una scommessa sul futuro prossimo, possibile grazie a un investimento iniziale di 54 milioni di euro, circa il 14% dei 335.689.198 milioni di euro complessivi relativi ai consorzi e alle cooperative di sviluppo del Gruppo nel 2010. Le forme giuridiche più adatte a inquadrare le start up verranno studiate caso per caso, perché non necessariamente dovranno essere delle cooperative: spazio, dunque, a Fondazioni, Società per azioni, Società a responsabilità limitata ecc. Un osservatorio sarà chiamato a raccogliere dati e sensazioni perché l'obiettivo finale è costruire entro maggio 2013 un'analisi delle forme e delle tipologie di imprese innovative, per mettere a disposizione le conoscenze acquisite a favore degli imprenditori interessati a investire in altre start up nel settore del sociale.
Alberto Picci