07/03/2013
Di Enrica Miceli, l'ultimo sguardo sul progetto.
«"L'indipendenza
NON è adatta alla donna” è stata una delle prime frasi che mi sono sentita
rivolgere al mio arrivo in India. Ero appena arrivata a Mumbai come volontaria
in servizio civile per IBO Italia, con il compito di collaborare con il Navjeet
Community Health Centre (NCHC), loro partner locale, nella realizzazione delle
attività del progetto Slum Women Empowerment finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI)
per contribuire alla lotta alla povertà nelle baraccopoli di Mumbai
(pecificatamente a Bandra East e Ovest, Chembur, Govandi, Khar e Santa Cruz)
attraverso il rafforzamento e la promozione del ruolo della donna all'interno
della famiglia e nella comunità.
Quando
si arriva in un Paese e in una cultura straniera non si è mai pronti. Ero
partita con le migliori intenzioni e ancora più grandi aspettative, ma quella
frase, in un secondo sembrava spazzarle via tutte. Per tentare di uscire
dall'empasse decisi di esporre i miei dubbi ad alcuni operatori sociali del
Navjeet incaricati di realizzare le attività previste dal progetto. La risposta
fu netta e illuminante: ”Quando facciamo i seminari e i training alle nostre
donne sappiamo che non sarà facile, ma questo non è un buon motivo per non
provarci!”. E allora proviamoci.
Sin
dagli esordi la strada scelta per il progetto è stata quella di rendere
protagoniste le donne attraverso la creazione di gruppi di auto-aiuto, Mahila
Mandals (MMs) e Self Help Groups (SHGs), in cui le donne si organizzano per
discutere, scambiarsi esperienze e accedere più agevolmente a forme di
micro-credito. Il progetto inoltre promuove la salute della donna e dei loro
bambini attraverso
prevenzione, visite a domicilio e una clinica settimanale
gratuita; organizza corsi e seminari per incentivare le abitudini di risparmio
tra i gruppi di donne e l'avvio di attività generatrici di reddito; realizza
corsi di alfabetizzazione e di formazione professionale.
Di particolare importanza sono poi i seminari sulla violenza domestica organizzati
nei diversi slum e che mirano a fornire alle donne informazioni, supporto
psicologico, esperienza e abilità per prevenire, riconoscere e affrontare i
casi di violenza fisica e psicologica posti in essere ai loro danni. La
questione della violenza contro il genere femminile è sempre più impellente in
India, in particolare quella che si consuma all'interno delle mura domestiche e
di cui nella stragrande maggioranza dei casi non si ha notizia, negata da un clima
culturale profondamente patriarcale e intriso di vergogna. In molti casi
neanche le stesse vittime la riconoscono, perchè gli abusi fisici e psicologici
si sommano gli uni agli altri mascherandoli con l'ingiusto pregiudizio che la
donna è per legge di natura subordinata all'uomo per tutta la sua vita: prima
il padre, poi il marito e, alla morte di quest’ultimo, il proprio figlio.
Il
primo di questi incontri a cui ho partecipato mi ha fatto capire molto di
questa situazione. Arrivammo a Khar, uno dei quartieri di Mumbai, abitato
prevalentemente da pescatori: io, due operatori sociali del Navjeet, l'esperta
incaricata di tenere la sessione e un piccolo gruppetto di donne con cui
avevamo appuntamento, le altre sarebbero arrivate di lì a poco. L'entusiasmo lasciò
il posto allo sgomento quando scoprimmo che la stanza prenotata per tenere la
sessione era stata adibita a circolo ricreativo da una chiassosa combriccola di
signori del posto che se la spassavano a bere e giocare fregandosene delle
nostre giuste recriminazioni e intimandoci di tornare a casa a impastare
chapati (il tipico pane indiano, simile ad una piadina). Dopo più di mezz'ora
di frustranti e infruttuose trattative, con le donne che intanto avevano lasciato figli, suocere,
faccende domestiche e cene da preparare per raggiungerci e partecipare
all'incontro, sembrava che non ci fosse altro da fare che rinviare il tutto. È già così difficile convincere le donne sull'importanza di partecipare a questi
corsi e ora che erano tutte là bisognava mandarle via ammettendo implicitamente
che i loro diritti, alla fin fine, vengono sempre dopo quelli di qualcun altro?
La
risposta arrivò da sola e da loro stesse. Non so ancora come abbiano fatto, ma
alcune delle donne riuscirono a procurarsi le chiavi di un vecchio stanzone che
anni addietro veniva utilizzato come aula per un'improvvisata scuola
elementare. All’interno una scrivania, una sedia e una presa elettrica a cui
abbiamo potuto collegare il computer per proiettare un documentario con
testimonianze di donne che
avevano trovato il coraggio di far sentire la loro
voce e denunciare gli abusi e le violenze subite. Se la frase che avevo sentito
al mio arrivo a Mumbai aveva spazzato via le aspettative “della partenza”,
questa mobilitazione spontanea e decisiva mi ha fatto capire che l'indipendenza
è propria delle donne ed è giusto provarci!»
Alberto Picci