30/01/2013
Perché e come è nata questa esperienza?
«In
questi mesi siamo stati testimoni di un incredibile aumento di rifugiati siriani
sul territorio giordano, e il perdurare della crisi non potrà che rendere
ancora più imponente il flusso di persone che attraversano il confine ogni
notte.
Ad
oggi, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Giordania
(UNHCR) ha effettuato 160 mila registrazioni, ma il loro numero cresce
costantemente.
Tuttavia,
questi dati pubblicati non riflettono il reale numero degli sfollati, perché
non considerano tutti coloro che non vogliono registrarsi e quelli che non riescono
ancora a farlo.
Contemporaneamente, la maggior parte dei siriani già presenti in Giordania non
hanno accesso ai media e ad altre fonti di informazione, con la conseguenza che
non possono ricevere le cosiddette informazioni ‘salva-vita’.
I
rifugiati non sono direttamente coinvolti nelle operazioni di soccorso e questa
situazione talvolta li rende ostili verso gli interventi umanitari. Hanno pochi
contatti con gli operatori nazionali e internazionali e non c’è spazio per esprimere
problemi, opinioni, preoccupazioni ed esigenze. Sono soprattutto le donne e i
giovani a sentire la necessità di far sentire la loro voce, per uscire
dall’isolamento in cui sono costretti da mesi o addirittura anni.
Inoltre,
abbiamo notato che i rifugiati siriani sono affetti da ansia e traumi dovuti
agli eventi di cui sono stati vittima in Siria e a volte preferiscono restare
nell’ombra invece di rivolgersi agli operatori umanitari.
Questo
è il caso per esempio dei capi famiglie donne che hanno bisogno di servizi di
protezione speciali, ma si
scontrano continuamente con ostacoli di ogni genere.
È così che nasce l'idea di creare uno spazio per
la condivisione di informazioni e la libertà di espressione dedicato ai
rifugiati siriani in Giordania, nella speranza che possa contribuire a
migliorare le operazioni di soccorso e le loro condizioni di vita».
Quali sono le emergenze più immediate del
popolo siriano, sia dal punto di vista di chi è rimasto, sia da quello di chi è
scappato?
«Secondo le stime delle Nazioni Unite all'interno della
Siria sarebbero 4 milioni le persone - ovvero quasi un quinto della popolazione
pre-crisi – ad aver bisogno di assistenza umanitaria.
I tre governatorati più colpiti sono Aleppo, Homs e la
zona rurale di Damasco. In realtà, la Siria si trova ad affrontare un inverno particolarmente
rigido che ha ulteriormente aggravato la sofferenza soprattutto di coloro che
vivono in rifugi d’emergenza senza coperte e vestiti adeguati.
Purtroppo anche quelli che ancora riescono a restare nelle
proprie case spesso non le possono riscaldare a causa della
carenza di carburante e di energia elettrica.
Allo stesso tempo, il continuo lancio di razzi e bombe sui centri urbani sta
provocando la distruzione o il danneggiamento di tutte le strutture mediche presenti
nel paese, lasciando molti feriti senza cure.
Questo fa sì che il numero di siriani in fuga sia in costante crescita. Per
l'UNHCR, in Giordania la media giornaliera dei nuovi arrivi è notevolmente aumentata
nel corso del mese di gennaio. Se prima se ne contavano 500 ogni giorno, ora
sono almeno 730 le persone che tentano di entrare nel paese.
"Un ponte per ..." è direttamente coinvolto nelle operazioni di soccorso e
assistenza, qui come in Iraq.
Le esigenze principali dei rifugiati che vivono in Giordania sono legate alla necessità
di protezione e ai mezzi di sussistenza, come il pagamento dell’alloggio e dei
beni essenziali, dall’acqua potabile al cibo, ma hanno bisogno anche di cure
sanitarie, istruzione e assistenza psico-sociale.
Allo stesso tempo, la comunità di accoglienza è sempre
più sottopressione per via dell’aumento di profughi e quindi dei costi delle
risorse e dei servizi.
Nonostante gli interventi di diverse organizzazioni
umanitarie e del governo giordano, i cosiddetti ‘profughi urbani’ (che
rappresentano la maggioranza) appaiono estremamente vulnerabili e non tutti ricevono
aiuto.
In molti casi, è proprio la mancanza di
consapevolezza rispetto ai loro diritti e ai servizi esistenti a tenerli
lontani dai servizi a loro dedicati. Il nostro programma radiofonico vuole colmare
questa lacuna, guidandoli verso chi li può aiutare, in base alla loro
situazione».
Alberto Picci