Rossella, compleanno in prigionia

Oggi Rossella Urru compie trent'anni e, sempre oggi, si compiono cinque mesi della sua prigionia. La nostra inchiesta sul suo rapimento.

Ecco come hanno rapito Rossella

22/03/2012

RABUNI – “Sono arrivati attorno a mezzanotte, a bordo di un fuoristrada. Mi hanno picchiato e legato. Poi sono entrati nell’appartamento di Rossella”. Alì Mohammed si toglie il turbante che gli cinge il capo e ci fa strada nel cortile del Centro volontari di Rabuni. Lui era presente, quella sera del 22 ottobre scorso, quando un gruppo di banditi è penetrato qui, nei campi rifugiati saharawi del sud-ovest dell’Algeria, prendendo in ostaggio Rossella Urru, la giovane volontaria sarda del Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli (Cisp), e i due colleghi spagnoli Enric Gonyalons, dell’associazione iberica Mundubat, e Ainhoa Fernandez de Rincon, del gruppo “Amici del popolo saharawi dell’Estremadura”.

Farida Souani, dello staff amministrativo del Cisp.
Farida Souani, dello staff amministrativo del Cisp.

Nel piso M1, quello in cui viveva Rossella, ora alloggiano altri due cooperanti, entrambi del Cisp: il capo missione Lyes Kesri e l’italiano Enzo Danieli.

“La presenza di Rossella è ancora forte” dice Lyes, indicando la bandiera dei quattro mori, che la cooperante sarda aveva appeso alla porta e il grande planisfero che lei stessa aveva dipinto su una parete del soggiorno. “Ricordo come fosse ieri quei lunghi minuti – ancora Kesri – ho sentito i predoni portar via Rossella. Io all’epoca vivevo nell’appartamento M2, quello accanto. Sono stato assalito dal terrore e mi sono nascosto sotto il letto. Ancora adesso non riesco a perdonarmi quella debolezza”. Ma il trambusto deve aver richiamato l’attenzione degli altri due ragazzi: Ainhoa si è affacciata dal piso M9, Enric dall’M3. “Il ragazzo di Maiorca è un tipo alto e robusto – testimonia ancora Alì – deve aver opposto resistenza, tanto che uno degli uomini ha aperto il fuoco contro di lui, colpendolo ad un piede”. Oggi nell’appartamento M3 vivono ancora i colleghi di Gonyalons, dell’associazione Mundubat: Alessandra viene da Rimini ed è italiano anche Luca Bonilauri. Poi c’è la francese Carmen Canet. Ci indicano il foro del proiettile all’interno dell’appartamento, proprio accanto alla soglia: “Noi non eravamo in casa – racconta Alessandra – eravamo partiti per Dakhla qualche ora prima. Quando siamo tornati, sul pavimento erano evidenti le tracce di sangue”. “Tutto è stato molto rapido – afferma anche Abibullah Mohammed, capo del protocollo di Rabuni – io sono arrivato sul posto pochissimi minuti dopo l’accaduto, ma del gruppo non c’era già alcuna traccia”. Da uno degli appartamenti fanno capolino due giovani cooperanti. Giorgia è italiana, Marion francese. “Certo che conoscevo Rossella – dice Giorgia – abbiamo vissuto una giornata di gioia, lo scorso 3 marzo, credendola finalmente libera”. “Ma poi, solo 24 ore dopo, è arrivata la doccia fredda” osserva l’algerina Farida Souani, anch’essa dello staff amministrativo del Cisp.

Ora vive nell’appartamento M2. “Rossella è una ragazza molto forte – dice – sappiamo tutti che ce la farà”. “Di certo il continuo rincorrersi di queste notizie, spesso infondate, non fa che creare tensione per chi lavora qui a Rabuni” commenta lo spagnolo Juan Carlos, sulla quarantina, dell’associazione Cirem. Quando gli chiediamo qualche informazione su Rossella e sulla dinamica del sequestro, allarga il sorriso e pone una mano avanti. “Non possiamo dirvi nulla – spiega – abbiamo ricevuto disposizioni in tal senso”. Oggi a proteggere gli ingressi al Centro volontari c’è una fila di container e alcuni soldati del Polisario armati. Per i cooperanti è stato istituito il coprifuoco a partire dalle ore 19. Mentre dalle 22 in poi, nessun veicolo è più libero di circolare. “Di sicuro ci sentiamo più protetti – commenta Juan Carlos – ma tutto questo rende estremamente più complesso il nostro lavoro”.

Gilberto Mastromatteo
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