18/06/2012
A breve non si parlerà d’altro: una drammatica cronaca quotidiana che tristemente terrà compagnia agli italiani per tutta l’estate. E, all’improvviso, a eccezione degli (sporadici) casi di omicidio, violenza, abusi con cui i media, durante il resto dell’anno, si affannano a sottolineare la provenienza geografica dei delinquenti di turno, come se i cittadini di casa nostra fossero impeccabili, si torna a parlare di immigrazione. Senza, però, avere quasi mai il giusto punto di vista. Troppa enfasi, da un lato, e nello stesso tempo un distacco che ci fa apparire le storie di queste genti disperate come distanti anni luce dalla nostra realtà.
Però la storia racconta qualcosa di diverso: e non solo perché, come spiegano gli studiosi, una volta gli immigrati eravamo noi, ma anche perché, per come il mondo sta cambiando e trovando nuovi assetti ed equilibri, un giorno non troppo lontano quella sorte potrebbe toccare nuovamente a noi. Dunque, bisogna alzare il livello di attenzione, ancor più che quello di guardia se è vero, come è vero, che nel rapporto Sos Europe, presentato da Amnesty international, nel 2011 i morti accertati nel Mediterraneo sono stati più di 1.500, molti dei quali donne, giovani e bambini. Popoli in fuga, popoli in cerca. In fuga da conflitti, paure, povertà. In cerca di pace, democrazia e un futuro migliore. Cosa può spingere, infatti, una uomo o una donna a lasciare il poco che hanno per l’ignoto con il rischio nemmeno troppo calcolato di mettere a repentaglio la proprio vita? Il mare in tempesta, la disidratazione, condizioni igienico-sanitarie disumane sono soltanto la pistola fumante di un fenomeno del quale sarebbe opportuno prendersi cura in modo deciso restituendo agli uomini che affrontano i cosiddetti viaggi della speranza la dignità e il rispetto che meritano. Ai “fortunati” che sbarcano sulle coste del nostro Paese basta appoggiare un piede sul suolo italiano per essere già entrati a far parte, a pieno diritto, del mondo dell’illegalità: ad attenderli, quando i celeberrimi “respingimenti” in mare non hanno fatto il “loro dovere”, lunghi periodi di detenzione in centri che palesemente e irrimediabilmente risultano sovraffollati e dunque non consentono di garantire con continuità uno status dignitoso. E gli accordi bilaterali raggiunti con alcuni dei Paesi di provenienza dei migranti, a cui viene notoriamente data enfasi, non riescono quasi mai a raggiungere gli obiettivi prefissati di prevenzione del fenomeno: sorvolando su alcuni aspetti di tali trattati che appaiono di natura differente rispetto alla difesa dei diritti umani dei migranti, l’Italia ne ha già sottoscritti con Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal e Tunisia. Il rapporto Sos Europe di Amnesty International esamina alcune delle conseguenze sui diritti umani per migranti, rifugiati e richiedenti asilo “coperti” dagli accordi tra Italia e Libia.
Alberto Picci