05/05/2012
Foto archivio Famiglia Cristiana.
In Europa è un caso più unico che
raro: una normativa all'avanguardia, che vincola il commercio d'armi
a restrizioni e controlli ben precisi. Per ottenerla ci sono volute
due legislature e un grande lavoro della società civile. Parliamo
della legge 185 del 1990, nata alla luce dei principi dell'articolo 11 della Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali». Dopo oltre
vent'anni dalla sua approvazione, questa storica legge sarà cambiata
con un decreto delegato di cui è in corso la discussione. Molti
temono che la modifica introduca norme più permissive in materia di
export militare, aprendo un pericoloso varco al commercio
internazionale di armi, anche verso le zone "ad alta tensione".
In Italia il dibattito su questi temi
ha una storia relativamente recente. Ancora a metà anni '80 il commercio di
armamenti era coperto da segreto militare, cosa che rendeva possibili
traffici e triangolazioni anche verso Paesi sotto embargo Onu. Per
cambiare la situazione fu necessaria una forte pressione della
società civile, sensibilizzata dalla campagna "contro i
mercanti di morte". Il peso del mondo cattolico fu decisivo:
voci autorevoli, come quelle di padre Alex Zanotelli, Eugenio
Melandri e don Tonino Bello, lanciarono appelli memorabili. E dopo
anni di dibattito parlamentare si arrivò all'approvazione di una
normativa nuova, che aveva il sapore di una conquista storica.
La
legge 185/90 impone precisi divieti (in particolare proibisce il
commercio di armi verso Paesi in stato di conflitto, sotto embargo
Onu o che violino le convenzioni internazionali sui diritti umani) e
prevede un sistema di controllo del Governo sulle industrie
produttrici. Non solo: impone all'esecutivo di produrre, entro il 31
marzo di ogni anno, un rapporto dettagliato sulle esportazioni e
importazioni militari.
Negli ultimi decenni, anche a livello
europeo, si è cercato di porre un freno al commercio internazionale
di armi: esiste a riguardo un Codice di Condotta Ue del 1998,
aggiornato dieci anni più tardi con una Posizione Comune. Ma si
tratta di criteri generali, interpretati con molta elasticità dai
diversi Paesi europei.
Da Bruxelles però arrivano anche
sollecitazioni diverse. E' stata infatti approvata una direttiva Ue
(questa sì, con valore vincolante) che dovrebbe facilitare i
movimenti di sistemi militari tra i Paesi dell'Unione. A far
discutere non è tanto la direttiva in sé, quanto la catena di
conseguenze che potrebbe avere. La normativa italiana prevede una
tracciabilità completa dei sistemi d'arma prodotti nel nostro Paese,
tanto che se uno Stato europeo vuole esportare materiale bellico
italiano deve chiedere un autorizzazione al nostro Governo e spiegare
qual è la destinazione finale. Ma in futuro questo sistema potrebbe
ammorbidirsi.
«Su alcuni punti la direttiva Ue è piuttosto vaga –
fa notare Chiara Bonaiuti, ricercatrice presso Oscar Ires Toscana –
Sta quindi molto alla responsabilità dei Governi nazionali
dettagliare gli aspetti relativi alla trasparenza e al controllo
parlamentare, alla responsabilità sulla destinazione finale e alle
clausole di restrizione all’esportazione. Inoltre, considerato che
le armi non sono merci come tutte le altre, è necessario,
soprattutto in questa prima fase, mantenere una tracciabilità,
raccogliendo tutte le informazioni sugli spostamenti e riportandole
nella relazione annuale al Parlamento, in armonia con i documenti
sulla strategia di sicurezza europea interna e internazionale». In
sostanza, più sono gli organismi che controllano, meglio è.
Per recepire la direttiva europea si è
messo in moto il meccanismo di revisione della legge 185/90. E qui
tocchiamo un altro nodo problematico. La decisione di cambiare la
normativa mediante legge delega è stata contestata: molti hanno
ritenuto inopportuno sottrarre al dibattito parlamentare la riforma
di una legge che proprio nel Parlamento aveva trovato il suo punto di
forza. «Oltretutto – prosegue Bonaiuti – le indicazioni di
Bruxelles non sono necessariamente in contrasto con la nostra
normativa. Anzi, proprio perché particolarmente completa e attenta,
la legge 185/90 potrebbe diventare un modello a livello europeo e
offrire strumenti di valutazione della direttiva in vista del test
che verrà realizzato nel 2012».
Lorenzo Montanaro