26/03/2012
L'onorevole Andrea Sarubbi, Pd. Foto Eidon.
«Venticinquemila miliardi di lire per uccidere»,
scriveva Giorgio La Pira nel 1967, a Capodanno, in una delle sue riflessioni più
toccanti sulla guerra in Vietnam. E citava mezza Bibbia, dalla Genesi al
Vangelo di Matteo, passando per i documenti del Concilio e gli appelli di Paolo
VI, per poi concludere che si era aperta «la stagione di Isaia»: la stagione, intendeva,
in cui «forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo
non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più
nell’arte della guerra» (Is 2,4).
Mi veniva in mente questa riflessione, e molto
altro, quando con Savino Pezzotta abbiamo cominciato a ragionare
sull’opportunità di dire una parola chiara sul programma di acquisto degli F-35.
Una parola da cristiani impegnati in politica, che non staccano i piedi da
terra ma che cercano di rivolgere la testa al cielo: era davvero necessario
tutto ciò? Era inevitabile, immodificabile, persino indiscutibile come
all’epoca (due anni fa) sembrava? No, non lo era. E allora nacque la mozione
Colomba, un atto apparentemente innocuo di qualche parlamentare testardo, che
ha il merito di aver riaperto il dibattito e di aver portato il governo a una
riduzione del programma d’acquisto. Il 30 per cento, per ora.
Poi vedremo,
perché le profezie – come quella di Isaia, appunto – hanno tempi lunghi e
sentieri tortuosi.
Intendiamoci: nel campo delle armi e della
guerra, per un cristiano il poco è sempre troppo. Diventa troppo anche la
legittima difesa, pur giustificata dal Catechismo, se il modello è quel
“rimetti la spada nel fodero” detto da Cristo a Pietro nell’orto degli Ulivi.
Ma l’impegno in politica rende tutto più complesso, perché una nazione non si
governa con la sola coscienza: se dico di no a un intervento armato a
protezione dei civili richiesto dall’Onu, ad esempio, si fa molto sottile il
confine tra l’obiezione di coscienza e l’omissione di soccorso.
Il cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter prodotto dalla Lockheed Martin. Foto Ansa.
Ci sono però
delle situazioni, come questa dei cacciabombardieri, in cui la scelta è decisamente
più facile: soprattutto se le spese sono folli e i numeri degli armamenti sembrano
quelli del Risiko e non quelli di un Paese, come il nostro, che per
Costituzione “ripudia la guerra”.
Per tanto tempo in Italia si sono date per
scontate le spese militari. Si poteva risparmiare su tutto, si potevano
tagliare pensioni e sussidi alle persone non autosufficienti, ma guai a mettere
in discussione il bilancio della difesa: il solo porre il problema era
considerato roba da hippie, non da
statisti. Ora che la crisi economica ci obbliga a farlo, si capisce finalmente
che i margini sono notevoli: se pensiamo alla facilità con cui il ministro Di
Paola ha annunciato il taglio degli F-35 da 131 a 90, non possiamo far finta di
non capire che, evidentemente, almeno 41 cacciabombardieri non erano poi così
indispensabili. Sono quasi 5 miliardi di euro restituiti alle famiglie, alla
solidarietà, al terzo settore, alla cultura, alla scuola, al lavoro; alla
costruzione di un’Italia migliore, insomma, senza che per questo vengano
pregiudicate le nostre capacità militari o il nostro ruolo internazionale.
Bisogna avere coraggio, allora, e affrontare seriamente il tema di un nuovo
modello di difesa, non lasciando che a dettare l’agenda in materia siano gli
interessi industriali, ma rendendo il tema “nazionale” nel vero senso della
parola: chiamando in causa, cioè, tutte le componenti del settore, compresa
quella difesa popolare nonviolenta alla quale varie sentenze della Corte
costituzionale riconoscono dignità pari alla difesa militare. E noi cristiani
saremo lì, dalla parte di Isaia».
Andrea Sarubbi, deputato Pd
A cura di Alberto Chiara