14/04/2011
Ancora una volta Krzysztof Kieslowski gioca a ribaltare il fronte e a rovesciare la situazione. In Non commettere atti impuri lo fa però senza sofisticati paradossi ma sovvertendo il sesto comandamento del Decalogo in un drammatico confronto che nasce dalla mancanza d’amore. Non potrebbe esserci capofila migliore del protagonista di questo film (un giovane timido che spia una bella donna nel palazzo di fronte) per una passerella di personaggi in cerca di un autore per un ciclo dedicato al sesto comandamento.
La solitudine, la disperazione, l’incapacità di amare ma ancor prima quella di comunicare sono infatti alla base dei personaggi-chiave di tante e tante opere sull’argomento, figure tormentate nella loro luce sinistra, tutte riconducibili alle pagine più toccanti di Graham Greene (alle quali il cinema si è tante volte ispirato) o a quelle di François Mauriac, complice più che giudice dei suoi personaggi, immersi nell’atmosfera soffocante del “peccato di desiderio” (come lo chiamava Buñuel, secondo una terminologia recepita nel collegio dei gesuiti a Saragozza all’inizio del secolo scorso).
In questa ipotetica filmografia si potrebbe partire dalle conseguenze più torbide e tragiche che genera il peccato contro la castità, lacerante stato d’animo che in Cielo sulla palude di Augusto Genina fa da corona allo stupro subito da santa Maria Goretti. La relazione fra il male e la brutalità del sordido ambiente che lo alimenta è anche alla base della Fontana della vergine di Ingmar Bergman e di Sotto accusa di Jonathan Kaplan (con Jodie Foster), serrata requisitoria contro l’infamia della violenza carnale.
Una scena del capolavoro di Luchino Visconti, "Ossessione", del 1943.
Le conseguenze del cedimento alla tentazione e della caduta nell’isolamento morale sono mirabilmente descritte in Anna Karenina di Clarence Brown, con Greta Garbo, dal romanzo di Tolstoj, nell’Angelo azzurro di Josef von Sternberg, con Marlene Dietirch , nella Fiamma del peccato di Billy Wilder, ma soprattutto in Ossessione di Luchino Visconti, mentre il senso di colpa e il rimorso pervadono le versioni più note della Lettera scarlatta (dal romanzo di Nataniel Hawthorne), quella di Wim Wenders e quella di Roland Joffé.
In Vita di O-Haru, donna galante di Kenji Mizoguchi e in Lanterne rosse di Zhang Yimou prevale invece l’umiliazione, che assieme all’offesa e al disprezzo accompagna l’intransigenza di un sistema sociale fondato sulla sottomissione della donna. Situazione che, pur nella diversità di tempo e di cultura, trova la sua replica nei giorni nostri con Non ti muovere di Sergio Castellitto. E, alla fine, la conclusione non può trovare altro sfogo che nel rimorso che accompagnerà per sempre il protagonista di Match Point di Woody Allen o nella solitudine che come capita a Diane Keaton protagonista di In cerca di Mr. Goodbar di Richard Brooks è l’inevitabile punto d’arrivo per chi si illude di soddisfare impulsi morbosi e passioni con la fuga nella trasgressione.
Lo smarrimento, l’insoddifsazione, l’alienazione che sgomenta e seduce intrappolando nella gabbia di desideri incontrollati sono dunque la cartina di tornasole che attraverso questo campionario di film rivela le conseguenze di ogni perdita di controllo, offesa e disprezzo per sé stessi e per gli altri, turbamenti e debolezze che nel doppiofondo dell’esistenza depositano senso di vuoto, vergogna, perdizione.
Enzo Natta