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Insonnia, la tisana fa male?

Un italiano su cinque soffre d’insonnia. Noi medici abbiamo sempre consigliato un cambio di abitudini, ma spesso abbiamo prescritto farmaci ipnotici che favoriscono il sonno. Da  qualche anno, però, c’è un’alternativa che all’apparenza è più naturale e quindi meno  dannosa dei farmaci, ma i risultati e le complicanze collaterali non danno ragione a chi sostiene questa teoria.
L’Agenzia del farmaco francese ha autorizzato 19 piante che   combattono l’insonnia, riferendosi più che a una valutazione scientifica testata, a un uso “tradizionale”. Vista la mancanza di ricerca scientifica approfondita, in Italia il servizio di  Farmaco vigilanza ha messo sotto controllo queste sostanze e non si è trovato molto  d’accordo con l’agenzia francese.
È stata definita, ad esempio, l’esclusione della pianta Ballora nigra perché sospettata di danneggiare il fegato per la presenza di alcuni alcaloidi che si trovano, con la stessa azione epatotossica, in un’altra pianta: il Camedrio. Un altro prodotto molto utilizzato nel passato e che è stato proibito è l’Euphytose, che al tempo conteneva anche la pianta Ballora e poi Biancospino, Guaraná, Valeriana e Cola. Un’altra pianta sotto controllo è l’Anemone pulsatilla che contenendo protoanemonina, un  composto notoriamente tossico a livello neurologico e nefrologico, presenta un rischio alto che ne fa escludere l’uso per addormentarsi. Nelle altre 16 erbe rimanenti non ci sono rischi anche se resta dubbia l’azione ipnotica delle stesse. Non ci sono controindicazioni per Melissa, Fiori d’arancio, Tiglio e Verbena; mentre per Passiflora, Luppolo e Valeriana si riferisce che l’azione è quasi nulla o quantomeno molto discutibile.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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Integratori alimentari da usare con cautela

Alla fine qualche guru ci convincerà che la spesa dovremmo farla nei negozi di dietetica o nelle parafarmacie, per sostituire i gustosi alimenti di ogni giorno con pillole e polverine di integratori alimentari, per appagare i desideri dei produttori. È giusto, quindi, chiedersi se si tratta di elementi utili alla salute o se sono solo smarts di moda che incrementano i  bilanci economici delle multinazionali produttrici.
Che cosa si intende per integratori  alimentari? Sono prodotti composti da varie fonti concentrate di nutrienti, addizionati ad altri ingredienti, e vengono commercializzati con un dosaggio più o meno equilibrato. Tra i vari componenti possiamo trovare vitamine, sali minerali, amminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre vegetali, vari tipi di estratti vegetali e altro ancora. Gli integratori si  comprano ovunque per cui, vista la facilità di approvvigionamento, nessuno riflette sugli effetti dannosi alla salute. È necessario, infatti, fissare i livelli massimi di assunzione delle singole unità di prodotto, per questo l’etichettatura diventa elemento importante per  consentire di assumere dosi corrette. Non si può permettere ai consumatori di autogestirsi
e di acquistare gli integratori come normale cibo da supermercato. Bisogna considerarli alla stregua di medicine, per cui è necessaria la prescrizione con ricetta e inoltre la vendita deve essere riservata solo alle farmacie, dove il farmacista può almeno consigliare. Troppo spesso si compra attratti da notizie assemblate qua e là, per cui ci si convince che gli  integratori funzionano meglio se introdotti a dosaggio molto alto; niente di più errato!  Facciamo un esempio: l’esagerata introduzione di pillole contenenti Vitamina A può portare a un apparente stato di ittero (pelle molto gialla). Sono quindi proprio essenziali questi integratori? Forse in alcuni casi, per il resto meglio il cibo, che dà più soddisfazione.

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Pesce d’acqua dolce può nascondere parassiti

Ci occupiamo stavolta di un caso poco usuale di intossicazione alimentare da pesce  d’acqua dolce, cioè di lago o di fiume. In genere siamo abituati a pensare ai problemi del pesce di mare causati, per esempio da metalli pesanti reperiti in mare aperto e accumulati nel tempo, soprattutto dai pesci di grossa taglia. Un altro problema è causato da microrganismi che contaminano il pesce e passano nell’uomo specie se mangiato crudo.
Questa volta un problema simile è toccato a un pesce d’acqua dolce come la tinca. Infatti poco tempo fa, durante un evento enogastronomico, sono rimasti intossicati da un raro verme parassita di pesci di acqua dolce, alcuni politici della Valle d’Aosta, tra cui  l’assessore al Turismo, oltre a due sindaci, e 20 persone sono finite in ospedale per una parassitosi delle vie biliari. mentre altre 80 sono state a rischio contagio. L’infezione è stata provocata da una sfiziosa quanto micidiale tartare di tinca marinata al profumo d’arancia, pepe rosa e aneto su misto di verdurine. Ricordiamo che la marinatura non disinfetta.
Causa dell’infezione è stato il Clonorchis sinensis, un parassita che si sviluppa nei pesci d’acqua dolce (in particolare nei Ciprinidi come carpe e tinche). In genere a essere infettati sono cani, gatti e topi, ma può capitare anche all’uomo. Il parassita entra nel fegato e nelle vie biliari provocando lesioni difficilmente diagnosticabili. I sintomi  possono essere l’ingrossamento del fegato, la colicistite, ittero e febbre. Per scongiurare pericoli nella somministrazione “a crudo”, le tinche, come tutti gli altri pesci, devono essere congelate a –20 gradi per almeno 24 ore oppure scottate a 65 gradi per un minuto.

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Meno aggressivi con gli Omega-3

Si è sempre sospettato che la violenza e l’aggressività umana dipendessero anche  dall’alimentazione squilibrata, infatti, si è visto come la mancanza di grassi essenziali, tipo gli Omega-3, possa causare depressione, stress, aggressività. Questi acidi grassi  polinsaturi sono molto particolari al punto da permettere una giusta connessione nervosa. Per questo una carenza può provocare problemi cerebrali, che diventano reversibili se si reintroduce la giusta dose di Omega-3 necessario per il buon funzionamento della  trasmissione nervosa. Abbiamo visto che la carenza di Epa (acido eicosopentanoico) e di Omega-3 durante la gestazione e nei primi anni di vita può provocare una riduzione nei livelli di serotonina del cervello nei momenti più importanti della formazione e dello  sviluppo neurologico, causando un funzionamento inadeguato del sistema limbico e della corteccia frontale del cervello.
Si può allora affermare che molti casi di violenza,  aggressività, depressione, e talvolta persino il suicidio, possono essere causati dalla  inadeguata dieta della popolazione occidentale, che si caratterizza con un deficit di molti nutrienti, cioè una dieta inadeguata e poco equilibrata, ricca in carboidrati semplici  (zucchero, dolci...) e cibi da fast food. Si è evidenziato inoltre che i ragazzi con diete ricche di zuccheri e merendine sono più disobbedienti, aggressivi e depressi. Il tipo di   alimentazione occidentale moderno è carente di nutrienti essenziali per il nostro  organismo, e come risultato porta tanto problemi fisici quanto psicologici.
Nel caso di  bambini o adulti con problemi di depressione, violenza e aggressività, oltre all’appoggio  psicologico è necessario l’apporto nutrizionale, il cambio di alimentazione, l’assunzione di vitamine e minerali come lo zinco, e quella di Omega-3, con il fine di migliorare i sintomi,  sempre sotto controllo medico.

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Non tagliate i carboidrati

Quest’articolo vuole essere una risposta a coloro che consigliano erroneamente di seguire una dieta iperproteica, con pochissimi carboidrati; infatti, eliminare pasta e pane dalla  dieta può esporre a seri problemi cardiovascolari. Lo dimostra uno studio di Anthony  Rosenzweig, coordinatore della ricerca americana, pubblicato sulla rivista internazionale Pnas, che ha messo in evidenza come i regimi alimentari poveri di carboidrati aumentino in maniera significativa il rischio di gravi patologie cardiovascolari, quali aterosclerosi, ictus e infarto. Un gruppo di animali è stato nutrito con diete ricche di carboidrati, un secondo con quantità moderate di questi alimenti e, infine, per un terzo gruppo i carboidrati sono stati completamente sostituiti con proteine. Dopo 6 e 12 settimane di trattamento, i topolini  dell’ultimo gruppo con la dieta priva di carboidrati in effetti dimagrivano velocemente ma,  allo stesso tempo, presentavano chiari e netti sintomi di aterosclerosi, repertabili con  esami del sangue e con mezzi diagnostici eco-radiologici.
Secondo gli autori della ricerca, un’alimentazione povera di carboidrati, pur determinando un dimagrimento con un calo  rapido e significativo del peso corporeo, ostacola sicuramente la regolare nuova   formazione di vasi sanguigni. In caso d’infarto cardiaco, quindi, ciò interferisce con i  meccanismi di recupero del corpo stesso, che sopperisce al limitato afflusso di sangue,  dove esso manca a causa dell’occlusione vascolare. Emerge, quindi, l’indicazione che una dieta moderata e bilanciata con la giusta presenza di carboidrati e abbinata a un esercizio regolare, è la migliore per molte persone.

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I miracoli del tè verde

Ormai si tratta di una certezza scientifica: Il tè verde ha la capacità di ridurre l’ipertensione arteriosa e aiuta nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Nei grandi bevitori di tè verde è stato infatti osservato un rischio di morte per infarto miocardico e altri accidenti vascolari più basso rispetto ai non bevitori. I meccanismi molecolari di queste azioni del tè
verde sono poco conosciuti e sono stati finora attribuiti alla sua azione antiossidante. Il professor Andrea Semplicini dell’Università di Padova ha studiato gli effetti del tè verde in ratti ipertesi, dimostrando che le sostanze antiossidanti del tè concorrono al mantenimento di un buono stato di salute e bloccano alcune tappe chiave dei complessi meccanismi che  regolano la crescita delle cellule del cuore e lo sviluppo dell’ingrossamento cardiaco, noto  come ipertrofia del ventricolo sinistro, una frequente complicazione dell’ipertensione arteriosa.

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L’olio extravergine meglio di una medicina

L’olio extravergine di oliva è un condimento, un alimento o un farmaco? È una domanda molto stimolante, perché ormai tutti, o quasi, pensano all’olio extravergine di oliva come a una specie di farmaco. Si tratta di un alimento che contiene molti elementi che ci permettono di prevenire l’insorgenza di malattie di tipo metabolico, come il diabete e l’infarto.
Ogni olio, di qualunque derivazione, fornisce 9,1 calorie per grammo, ma si  differenzia per la qualità dei grassi e delle vitamine contenute. Negli oli di semi mentre è notevole la quantità di vitamina E, è scarsa la vitamina A e quasi nulla la D.
L’olio extravergine contiene vitamina E, acido  oleico, grasso monoinsaturo che ci protegge dalle malattie cardiovascolari e tumorali. Ha un effetto benefico contro il colesterolo. Aiuta il fegato nelle sue funzioni di disintossicazione, ma senza esagerare nelle quantità. Per sfruttare gli effetti “terapeutici”, la dose ideale e di 2-3 cucchiai al giorno superando i quali si può avere un aumento dei trigliceridi.

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Le etichette sui cibi ci raccontano

Per mettere in vendita un alimento oggi è necessario far conoscere i singoli ingredienti e la loro composizione nutrizionale, comprese le calorie fornite. Il Parlamento europeo  recentemente si è espresso sulle etichette e ha dato l’ok ai profili nutrizionali con l’obbligo dell’indicazione delle quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale e si richiedono però anche indicazioni su proteine, carboidrati, fibre, grassi trans-naturali e artificiali. Tali informazioni devono essere indicate su 100 grammi o milligrammi e, per assicurarne la  leggibilità, devono avere caratteri di dimensione e stile precisi.
I vari deputati hanno  proposto anche l’estensione dell’etichettatura obbligatoria sul Paese d’origine, oggi in  vigore solo per alcuni alimenti, a tutti i tipi di carne, pollame, prodotti lattiero-caseari, e  altri composti da un unico ingrediente. Per carne, pollame e pesce, l’etichettatura sul  Paese d’origine deve essere disposta anche quando sono utilizzati come ingrediente in  cibi trasformati.


CARNE E POLLAME, CONTA IL LUOGO DI ORIGINE

Per la carne e il pollame, l’indicazione di origine può essere fornita in rapporto a un unico luogo solo nel caso in cui gli animali siano nati, allevati e macellati nello stesso Paese. Per le carni e gli alimenti contenenti carne, il Paese di origine è definito come il luogo nel quale l’animale è nato, è stato allevato per la maggior parte della sua vita ed è stato macellato.

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Attenti al latte cinese: è blu...

Poco tempo fa ha suscitato grande preoccupazione, anche in Italia, la notizia dei bambini cinesi con danni renali causati da latte inquinato con melamina e, in questi giorni,  purtroppo il caso si è ripetuto sempre in Cina: oltre 294 mila risulterebbero alla fine quelli esposti, più di 50 mila i ricoverati e almeno 6 i morti. Siccome in Italia esiste un’ampia  popolazione cinese, si ha la preoccupazione che costoro abbiano potuto importare dalla Cina quel tipo di latte pericoloso per la salute dei loro bambini, ma per ora non se ne ha alcuna notizia.
Si teme che possa arrivare sui nostri scaffali, in qualche hard discount come la mozzarella blu. La melamina è uno dei componenti di vari prodotti, come materie  plastiche, adesivi e colle, laminati e legno compensato, cementi, detergenti, vernici  ignifughe, e può essere aggiunta anche ai fertilizzanti e quindi assorbita, seppur diluita, dal suolo e dalle piante. Perché l’uso della melamina? Perché ha un alto contenuto di  azoto, il 66 per cento, a lungo usato come surrogato per stabilire il contenuto proteico di un alimento ed è stato addizionato intenzionalmente, perché il loro latte per bambini era troppo povero di proteine e aveva provocato in Cina casi di decadimento generale, per cui le autorità avevano intimato di migliorare il contenuto proteico, pena sanzioni severe. Ecco cosa potrebbe aver spinto all’adulterazione.
La melamina e il suo metabolita acido  cianurico sono tossici per l’uomo e gli animali e tutto dipende dal grado di concentrazione e dalla sua introduzione. La melamina, infatti, favorisce la formazione di calcoli e se l’ostruzione è marcata insorge l’insufficienza renale acuta. Secondo l’Organizzazione  mondiale della sanità, i piccoli cinesi hanno assunto da 40 a 200 volte la dose giornaliera tollerabile (Tdi), fissata per l’occasione in 0,2 milligrammi per kg di peso corporeo per la melamina e in 1,5 per il suo metabolita.

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Una mela al giorno

Ci volevano gli australiani a provare scientificamente ciò che noi dietologi italiani diciamo da sempre: «Una mela al giorno toglie il medico di torno». Si è visto, infatti, dopo un’ampia sperimentazione, che le mele hanno la capacità di prevenire il diabete, ridurre il  colesterolo, di essere un fattore chiave nelle malattie di cuore e di migliorare il  metabolismo.
L’Apple report 2010, presentato alcuni giorni fa, descrive i benefici del  prezioso frutto anche per i soggetti che soffrono di asma e di allergie respiratorie, e per chi vuole perdere peso. Un aspetto veramente interessante è che i polifenoli contenuti  nella buccia, 200 milligrammi in media, possono abbassare il colesterolo del 5-8 per cento in chi consuma tre mele al giorno.
Questi frutti hanno anche un ruolo nel ridurre  il rischio di diabete tipo 2. Il rapporto indica che il rischio è ridotto del 28 per cento nelle donne che le mangiano ogni giorno, grazie probabilmente al loro basso indice glicemico, che fa sì che lo zucchero naturale, che le mele contengono, venga liberato lentamente nel flusso sanguigno, riducendo il desiderio di zucchero e di cibi dolci.
Le mele, inoltre, sono  anche una buona fonte di vitamina C, di potassio e di fibre, e poiché sono un frutto così solido che allunga i tempi di masticazione, possono aiutare a perdere peso, riducendo l’appetito, e i rischi di insorgenza della carie, specie nei bambini o in chi non ha la possibilità di lavare i denti dopo ogni pasto della giornata. La ricerca identifica il potenziale dei polifenoli della mela nel contrastare il grasso addominale e la loro azione sugli ormoni che regolano il metabolismo. Vi sono anche indicazioni secondo cui le donne che mangiano mele in gravidanza riducono il rischio di asma nel nascituro.

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Con i farmaci a tavola

Cibo e farmaci a volte possono non andare d’accordo. È un problema che tocca coloro che assumono regolarmente medicine. È accertato che chi assume farmaci di tipo   anticoagulante, come i cardiopatici, deve evitare verdure a foglia larga, tipo lattuga e spinaci, perché possono interferire sull’azione anticoagulativa. Infatti, è sicuro che alcuni princìpi attivi possano influenzarsi reciprocamente, dando luogo a “interazioni”, cioè  fenomeni che possono ridurre l’effetto di una sostanza e potenziarne un’altra, oppure provocare sintomi spiacevoli, quali nausea, vomito o bruciori di stomaco. Lo stesso tipo di interazioni riguarda anche gli alimenti. Ecco perché è importante verificare non solo se un determinato medicinale deve essere assunto a stomaco pieno oppure lontano dai pasti, ma anche evitare, se espressamente indicato, l’assunzione di particolari cibi o bevande che potrebbero modificare il risultato.
Le bevande a base di cola ed energizzanti come il  caffè contengono caffeina e possono interferire con gli antipertensivi (in particolare beta-bloccanti) o potenziare l’effetto di antiasmatici (beta-agonisti). I formaggi stagionati contengono una particolare sostanza, la tiramina, che durante l’assunzione di farmaci  antidepressivi o per il morbo di Parkinson (i cosiddetti Mao-inibitori) può scatenare  pericolosi e improvvisi aumenti della pressione arteriosa sanguigna.
Assumere il succo di pompelmo almattino accelera l’attività del fegato, che trasforma ed elimina talvolta troppo velocemente i farmaci; pertanto è sconsigliato assumere questo succo durante le terapie, in particolare con i calcio-antagonisti, utili nell’ipertensione arteriosa.

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Quel mal di testa che viene dopo mangiato

Spesso alcuni cibi sono accusati di provocare cefalea o emicrania e ci sono persone che individuano con precisione quale alimento o categoria scatena il terribile mal di testa. Per esempio, gli additivi alimentari come i conservanti (il più utilizzato è il mono-sodio- glutammato che conferisce il sapore salato oltre a favorire la conservazione) e poi i  coloranti, gli addensanti e gli aromi. La cefalea come reazione avversa agli alimenti, non è da confondere con le allergie alimentari vere e proprie, che invece sono riconducibili ad  allergeni capaci di provocare effetti veramente drammatici, fino allo shock anafilattico. Il meccanismo che provoca la cefalea di origine alimentare è un fenomeno di vasodilatazione
che può essere seguito (o preceduto) anche da una vasocostrizione. La circolazione  intracranica risente notevolmente di queste variazioni pressorie, reagendo con un dolore abbastanza resistente ai comuni farmaci analgesici.
Altre sostanze che provocano mal di testa sono la feniletielenamina, che si trova nei formaggi stagionati e nel cioccolato e  l’istamina, propria di: pesci, pomodori, uova, fragole, crostacei, eccetera. Anche la tiramina è implicata e si trova in: formaggi fermentati e stagionati, estratto di lievito, conserve di  pesce. Queste molecole possono provocare alcuni effetti come: orticaria, contrazione della muscolatura liscia vasale, cefalea,  tachicardia, ipotensione, arrossamento del volto,  aumento della secrezione acida gastrica.

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Gli zuccheri che diventano ciccia

Quanto ci piace mangiare i dolci! Ma ciò che è zuccherato, certo, appaga il palato ma poi si trasforma in grasso, sia nel sangue sia nelle cellule predisposte, cioè gli adipociti. Tutto ciò si deve a un particolare ormone, l’insulina, la cui funzione primaria è la trasformazione degli zuccheri in energia sotto forma di glicogeno. Ha, però, anche la funzione di  immagazzinare gli zuccheri in eccesso e quando non possono più essere trasformati  direttamente in energia, li trasforma in riserve di grasso. Infatti, l’uso eccessivo e  prolungato nel tempo di zuccheri e carboidrati raffinati provoca uno squilibrio cronico del metabolismo insulinico, per cui anche la minima quantità di carboidrati viene trasformata in grasso.
Ecco perché le persone metabolicamente resistenti all’insulina (nelle quali lo  squilibrio ormonale è ormai molto avanzato), ingrassano anche consumando quantità  normali o moderate di alimenti. Come si può risolvere questo dilemma? Solo attraverso un
cambiamento alimentare radicale, che sostituisca carboidrati non raffinati (tipo pasta e vari cereali) a quelli raffinati (come il saccarosio); che riduca al minimo l’uso degli zuccheri e che introduca acidi grassi essenziali al posto di quelli saturi; e che, infine, utilizzi proteine  derivanti più da pesce che da carne o da uova e formaggi. L’uso regolare di questi cibi rende tutto questo molto più facile perché fornisce all’organismo una serie di nutrienti essenziali, riduce l’appetito e facilita lo smaltimento dei grassi accumulati.

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Troppe donne obese un rischio per la fertilità

Fra i tanti problemi che l’obesità provoca dobbiamo sottolineare un’interessante ricerca dei medici dell’Osservatorio Grana Padano, che prova come l’aumento delle donne obese tra quelle in età fertile, crei rischi più elevati di aborto e disturbi della fertilità. Fra i 30 e i 42 anni, infatti, l’incidenza dell’obesità è doppia rispetto alla popolazione generale, arrivando a toccare il 20 per cento.
È sorprendente come in una società in cui l’apparire è quasi tutto, le giovani donne non si preoccupino della loro salute e non tengano nel dovuto conto il loro aspetto estetico. È necessario quindi fornire consigli dietetici alle donne che si preparano alla gravidanza.
La ricerca evidenzia che il 75 per cento delle donne intervistate dall’Osservatorio non fa alcun tipo di attività fisica, e ha un rapporto tra peso e altezza più elevato rispetto a quello delle donne più attive; le sane abitudini di vita sono doppiamente importanti per le donne che desiderano un figlio. Una corretta alimentazione favorisce  ovulazione e concepimento e nel feto riduce il rischio di malattie gravi quali diabete e  patologie cardiovascolari.
I consigli di una dieta sana per la donna che si prepara al  concepimento, sono: consumare pesce 2-3 volte a settimana; al posto dell’aceto usare il limone sulla verdura per assimilare il ferro contenuto; due porzioni di verdura e tre di  frutta al giorno; proteine vegetali 2-3 volte a settimana, soprattutto legumi; almeno 1,5 litri di acqua al giorno, meglio se ricca di calcio; ridurre i grassi animali; controllare gli  zuccheri semplici; usare olio extravergine d’oliva a crudo per condire ed evitare di usare grassi come la margarina e quelli di tipo idrogenato e frazionato. Infine, fare attività fisica e monitorare sempre il peso

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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E se fa caldo piano con i grassi

D’estate, a causa del clima e del cambiamento dei ritmi familiari muta anche  l’alimentazione. I giovani, non andando più a scuola, si alzano tardi e vanno a letto tardissimo, invertendo le abitudini alimentari. Ma è salutare un tale cambiamento alimentare? Se l’orario della sveglia dei ragazzi coincide con quello del pranzo, più che una prima colazione o il classico pranzo è meglio servire un brunch alla moda anglosassone,
dove dolce e salato si incontrano, ma non esagerando in grassi e carboidrati. Non sono proponibili fumanti spaghetti e bistecca ai ferri, meglio ripiegare su piatti freddi come  insalate varie, per esempio, di riso o una bella giardiniera, ossia tante verdure lessate tipo
fagiolini, cipolline novelle, cavolfiori eccetera, arricchite dall’ottimo tonno, oppure arrosti da servire tagliati sottilmente eccetera. Si introduce così tanta buona fibra vegetale che fa assorbire meno grassi e zuccheri.
Molto spesso i giovani tiratardi prima di rientrare, tra le
6 e le 7 del mattino, fanno il pieno di grassi saturi con brioches calde, panini o pizze,  creando problemi al fegato, e poi magari fanno storie alle mamme per quanto di salutare preparano loro a casa. In questa stagione, un gradevole apporto proteico può essere  dato da affettati come il prosciutto crudo e cotto o dall’ottimo pesce. Punto fisso di  riferimento deve essere la frutta servita in ogni modo: tal quale, come frullato, o sorbetto. Anche la verdura costituisce una miniera preziosa di vitamine e sali minerali da reintegrare, che si perdono con la sudorazione, bene i centrifugati di verdure e ortaggi. Ottimi anche yogurt e gelati, specie se di preparazione casalinga, oggi cosa possibile grazie alla  presenza sul mercato delle sorbettiere familiari.


Mi faccio una bella insalata di riso

Ci sono prodotti che tirano la volata ad altri. La comparsa sul mercato dei preparati di verdure per condire il riso in bianco ha fatto lievitare il consumo di questo cereale. I condimenti sono comodi, relativamente leggeri, saporiti e digeribili, si versano direttamente sul riso bollito senza sprecare tempo e pentolini per fare il sugo. Per  scegliere i prodotti più di qualità bisogna guardare quale posto occupano nell’elenco degli ingredienti le verdure più pregiate, ovvero se stanno ai primi posti, a meno che non ci sia scritto “verdure miste in proporzione variabile”: in questo caso occorre regolarsi a vista.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)

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Cibo e Salute

Giorgio Calabrese

Giorgio Calabrese è un nutrizionista dell'Università Cattolica

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