09/05/2013
I primi soccorsi dopo l'attentato a via dei Georgofili (Foto: Ansa).
Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, all’1,04, esplode un’autobomba. Siamo in pieno centro storico di Firenze, a due passi dalla Galleria degli Uffizi: via dei Georgofili, ai piedi della storica Torre del Pulci.
La macchina, una Fiat Fiorino, era stata imbottita di 250 chili di miscela esplosiva, composta da tritolo (T4), pentrite e nitroglicerina.
La deflagrazione, violentissima, provoca il crollo della Torre e devasta il centro storico per un’estensione di ben 12 ettari. Un impatto che è stato definito “bellico”.
Le vittime sono cinque: Caterina Nencioni di 50 giorni, Nadia Nencioni di 9 anni, Angela Fiume di 36, Fabrizio Nencioni di 39, Dario Capolicchio di 22. Un’intera famiglia, i Nencioni, che risiedeva nella Torre perché Angela Fiume era la custode dell’Accademia dei Georgofili, che vi aveva la sede. Dario Capolicchio, invece, studente di architettura a Firenze, muore trasformato in una torcia umana dentro casa sua, nel palazzo di fronte alla Torre.
I feriti sono 48, moltissime famiglie rimangono senza tetto. Oltre agli Uffizi, vengono danneggiati diversi edifici d’interesse storico-artistico. Si perdono per sempre capolavori e preziosi documenti, ma soprattutto cinque vite.
In breve, le indagini individuano gli esecutori dell’attentato negli appartenenti a Cosa nostra. Dopo un lungo iter processuale vengono comminati 15 ergastoli, confermati in via definitiva dalla Cassazione il 6 maggio 2002.
Una parte della verità, quindi, è stata accertata. Solo una parte, però. L’associazione dei familiari delle vittime continua a chiedere di andare fino in fondo, alla verità. Specie per quegli aspetti che non sono mai stati chiariti, ossia ad esempio chi furono i mandanti. E con chi si “alleò” Cosa nostra nel piano stragista-eversivo di quegli anni.
Via dei Georgofili (come sottolinea l’avvocato Fabio Repici nel video del presente dossier) è solo una delle “tappe” di quella strategia, che comincio nel marzo 1992 con l’omicidio dell’on. Dc Salvo Lima e si concluse all’inizio del mancato attentato dinamitardo allo stadio Olimpico di Roma, che doveva avvenire nel gennaio 1994.
Una brutta storia che sembra legarsi, col procedere delle indagini (ancora tutte aperte) e dei processi, sempre più alla questione della Trattativa fra lo Stato e la mafia, avvenuta in quegli stessi anni.
Gli effetti della bomba (Foto Torrini-Fotogramma).
«Vi sono 150 persone che sono state a vario titolo toccate dalla strage», dice Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili. «Ancora dopo 20 anni non riusciamo ancora a dire e a scrivere tutto quello che sappiamo e che abbiamo capito. Perché ancora non ci sono le sentenze che lo confermano».
– Quali sono i punti fermi?
«Che è stata Cosa nostra a mettere in atto l’attentato. L’imput venne da Riina, Provenza e i Graviano. Lo confermano 15 ergastoli definitivi. Però, dai processi, emergono altre cose: ad esempio che la bomba aveva a che fare con la trattativa in corso fra lo Stato e la mafia. E che la trattativa ci fu. Non solo. Guardando a ciò che emerge anche dall’inchiesta della Procura di Palermo – il relativo processo inizierà fra poche settimane – fu lo Stato a cercare la mafia per fermare le stragi».
– Chi potrebbe dare decisivo un contributo di verità?
«Quegli stessi uomini politici che sono stati rinviati a giudizio a Palermo, uno dei quali proprio per falsa testimonianza. Ma anche altri deputati ed esponenti dei partiti che finora hanno nascosto ciò che sanno, o si sono rifugiati nei “non so e non ricordo”».
– Non fu il primo caso in cui lo Stato si relazionò in qualche modo alla mafia.
«No, è vero. Ma non crediamo al fatto che le nostre istituzioni si misero a trattare con Cosa nostra solo per salvare la vita ad alcuni politici che la mafia voleva eliminare. Vogliamo sapere qual è la vera ragione del cedimento dello Stato. Qual è il segreto inconfessabile? Speriamo che qualcosa di nuovo emerga dal processo di Palermo, dove ci costituiremo parte civile».
– Per le famiglie che sono state colpite da fatti tanti gravi, quanto conta ottenere verità e giustizia?
«Ha un valore enorme. Quei fatti ci hanno cambiato la vita per sempre. Tutte quelle famiglie oggi hanno figli. Vogliamo consegnare loro la verità perché solo questo può dare una pacificazione e una qualche serenità. Il terrorismo ti paralizza. Quello che ti è accaduto ti dà terrore se non sai perché è avvenuto. Perciò conoscere i fatti e i moventi, fino in fondo, è di vitale importanza».
Luciano Scalettari