Vi racconto mio fratello Giuseppe

09/05/2013

"Mio fratello mi insegnò che la legalità non è solo rispetto delle regole ma della dignità dell'uomo."

Avere il coraggio di uscire dagli schemi e ribellarsi alle leggi ingiuste. È questo il messaggio di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ai ragazzi della scuola media di via De Nicola, nel quartiere popolare Sant’Ambrogio, estrema periferia sud di Milano. Due assemblee affollate, al mattino con i ragazzi e alla sera con i genitori.

Colpiscono i ricordi personali del fratello del militante di sinistra ucciso dalla mafia all’età di trent’anni, il 9 maggio 1978, e conosciuto grazie al film “I cento passi”. Racconta: “La prima rottura culturale fu all’interno della cerchia familiare. La nostra era una famiglia mafiosa; i miei ricordi familiari più intensi, come le carezze di mia madre e l’affetto di mio padre, sono legati alla villa dello zio Cesare Manzella, uno dei boss di Cinisi. Lì, con Peppino, catturavamo le lucertole, inseguivamo con poco successo le rane ed eravamo affascinati dalle lucciole. Giocava con noi anche un boss nascosto nel casolare dello zio e ricercato da tutte le polizie d’Italia. Era Luciano Liggio, l’assassino del sindacalista Placido Rizzotto”.
Tutto finì quando lo zio venne ucciso con un autobomba: “Rivedo la scena come una cartolina in bianco e nero. Io avevo 10 anni e mio fratello 15, ma diventammo subito grandi”. Peppino disse: “Se questa è mafia, io per tutta la vita mi batterò contro”. Sarà ucciso per questo esattamente quindici anni dopo, sempre con il tritolo. Prima, Peppino partecipa alle lotte sociali del suo tempo, dal movimento contadino a quello studentesco, aderisce ad alcuni gruppi della sinistra e partecipa nel 1967 alla “Marcia della protesta e della pace” organizzata dal suo amico Danilo Dolci contro la guerra in Vietnam. Ma soprattutto, insieme ad alcuni giovani del paese, avvia le iniziative culturali per combattere la mafia: ancora minorenne fonda il giornale L’idea socialista, chiuso con un pretesto dopo un articolo sulla mancanza di un campo di calcio a Cinisi, poi il circolo Musica e Cultura, e, dopo la liberalizzazione delle frequenze, Radio Aut.
Giovanni ricorda: “Per la controinformazione, scelse l’arma dell’ironia. Oltre alle macchiette sulle sedute del consiglio comunale di Mafiopoli e della sagra della ricotta, usava la cultura dei pellerossa per prendere in giro i mafiosi: Tano Badalamenti divenne Toro Seduto, mentre il sindaco Gero Di Stefano era il Grande Capo Geronimo. Quando la mafia perde un progetto speculativo, punta facilmente su un altro obiettivo, ma Peppino dava fastidio perché erodeva consenso sociale, ben più difficile da recuperare”.

Tornano i ricordi familiari: “Mio padre provò a salvare Peppino andando in America da alcuni cugini. Per questo tentativo venne ucciso: secondo l’etica mafiosa, mio padre avrebbe dovuto uccidere il figlio lui stesso o almeno lasciare mano libera ad altri”. Giovanni poi racconta della madre Felicia: “Quando Peppino fondò L’idea, girava le edicole comprando tutte le copie per proteggere il figlio e non far sapere cosa scriveva”. Il giorno del funerale di Peppino, di fronte alla bara vuota, disse: “Questo non è mio figlio, me l’avete fatto a pezzettini” e, rispondendo al commento del cugino americano “Peppino, sangue pazzo, ma era uno di noi”, aggiunse: “Non era uno di voi e io vendette non ne voglio”. La scelta per la giustizia, e il rifiuto della vendetta familiare, fu la vera rivoluzione di Felicia. In questi casi, le donne siciliane si richiedevano in casa con il velo nero e listavano le persiane a lutto, lei spalancò le finestre e aprì la casa agli amici di Peppino. Quel giorno cambiò la vita anche di Giovanni: “Pur condividendo in pieno le sue scelte politiche, non ho mai avuto il coraggio di mio fratello. Il giorno del funerale di mio padre, ad esempio, lui rifiutò di stringere la mano ai mafiosi, mentre io non ebbi quel coraggio e accettai le loro condoglianze. La consapevolezza che dovevamo radicalmente rompere con la mafia è arrivata per me con la morte di Peppino”.

E, rivolgendosi agli alunni della scuola milanese, ha aggiunto: “Il mio dialogo con lui, iniziato in profondità in quel giorno, continua tutte le volte che parlo a ragazzi come voi”. Nell’assemblea con i loro genitori ha aggiunto: “La mafia non può essere vinta solo con un approccio repressivo, di ordine pubblico, ma serve un impegno sociale e culturale, come quello dell’associazione Addio pizzo o delle cooperative di Libera. Grazie alla confisca dei beni di mafia, anche la casa di Badalamenti, il boss che fece uccidere mio fratello, a cento passi dalla nostra, è stata ora affidata al Centro Impastato”. Poi serve la verità: “Non possiamo raccontare ai ragazzi che la mafia è un antistato; spesso è dentro lo Stato, nella gestione del denaro pubblico e nella realizzazione delle grandi opere. Nelle indagini sulla morte di mio fratello, abbiamo incontrato uomini dello Stato che hanno perso la vita nella lotta contro la mafia (Chinnici, Falcone, Borsellino), ma anche chi ha depistato l’indagine, facendo passare Peppino per un terrorista, morto mentre organizzava un attentato, o un suicida”. Infine, Giovanni Impastato ripete a genitori e ragazzi il messaggio di suo fratello: “Spesso si parla di legalità solo come rispetto delle leggi e delle regole. Ma prima di tutto, la legalità è il rispetto della dignità dell’uomo; quando al centro della legge non c’è la dignità, dobbiamo lottare fino in fondo perché cambi. Anche Hitler agiva legalmente e Gesù stesso fu condannato perché colpevole secondo la legge. Se penso alle grandi battaglie per la legalità, mi vengono in mente Martin Luther King e Rosa Parks, che nel 1955, contro la legge, rifiutò di cedere il posto a sedere ad un bianco, dando così origine al famoso boicottaggio degli autobus”.

Stefano Pasta

Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

tag canale

MODA
Le tendenze, lo stile, gli accessori e tutte le novità
FONDATORI
Le grandi personalità della Chiesa e le loro opere
CARA FAMIGLIA
La vostre testimonianze pubblicate in diretta
I NOSTRI SOLDI
I risparmi, gli investimenti e le notizie per l'economia famigliare
%A
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati