Pakistan, cristiani sotto scacco

Il caso di Asia Bibi, la contadina ingiustamente condannata a morte per blasfemia dopo essersi ribellata a un sopruso. E gli altri abusi di una legge che permette arbitri e ingiustizie.

Se la neppure la politica muove un dito...

17/04/2012
Pakistan. Una celebrazione in una chiesa cristiana. Foto Corbis.
Pakistan. Una celebrazione in una chiesa cristiana. Foto Corbis.

Lahore, Pakistan

In Pakistan pare proprio che la poltica abbia gettato la spugna.
Ha dichiarato la sua impotenza. Se dieci anni fa la società civile, l’opinione pubblica, i mass media e anche le Chiese cristiane chiedevano a gran voce l’abolizione della legge, oggi nessuno osa più aprire un capitolo considerato “tabù”, nemmeno per proporre una modifica procedurale ed evitarne gli abusi. Non lo fanno né il Governo del Partito popolare del Pakistan, condizionato dalle pressioni dei gruppi estremisti islamici, né le forze di opposizione come la Lega musulmana, che porta l’impronta islamica nel nome; anche l’astro nascente Imran Khan, l’ex giocatore di cricket prestato alla politica, promotore di un movimento di massa, glissa sull’argomento.

Il Ministro di stato per l’Armonia nazionale, il cattolico Akram Gill, al massimo si dichiara “favorevole a contrastare l’abuso della legge”, ma nessuna commissione di giuristi è al lavoro per tradurre in concreto tale orientamento. Lo spettro dei gruppi radicali aleggia dappertutto, simboleggiato dalla “madrase” (le scuole islamiche) che a Lahore, capitale del Punjab, spuntano come funghi ad ogni angolo di strada, grazie ai finanziamenti dei gruppi islamici wahabiti dell’Arabia Saudita. La cultura, gli intellettuali, il mondo della letteratura e dell’arte preferisce pensare ad altro e solo qualche voce sporadica, qua e là, si alza coraggiosa a ricordare quella che un vescovo, anni fa, chiamò “la rovina della nazione”.

Pakistan. Una celebrazione in una chiesa cristiana. Foto Corbis.
Pakistan. Una celebrazione in una chiesa cristiana. Foto Corbis.

Intanto Asia Bibi marcisce in carcere e subisce anche la dolorosa beffa della speculazione. «Tante, troppe Ong si sono avventate sul caso, proponendosi come sostenitrici di Asia e della sua famiglia, e lanciando raccolte fondi che chissà dove finiscono», ammonisce Arif, un attivista per i diritti umani di Lahore.

Anche Ashiq, il marito di Asia, abbagliato da un fiume di denaro e notorietà, si presta al gioco, vende i diritti di pubblicazione della storia a un editore francese (operazione quanto meno prematura), sembra pensare più al suo interesse che al bene della donna. Perché oggi, nota Paul Bhatti, fratello del ministro ucciso Shahbaz e Consigliere speciale del Primo ministro, «le pressioni internazionali sul caso di Asia Bibi sono controproducenti, non fanno altro che rinfocolare l’ideologia estremista. Occorre, invece, seguire il percorso legale nel processo di appello, dimostrare la sua innocenza, provvedere poi all’incolumità della donna e alla protezione della famiglia». Una strada che, nel Pakistan odierno, è tutta in salita.

Paolo Affatato
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