24/09/2012
L’amore coniugale, che è un valore
(bene, senso) per sé stesso, è naturalmente
orientato a donare la vita. C’è
una reciprocità tra l’essere sposi e l’essere
genitori: l’uno rinvia all’altro senza
forzature esterne. Basti pensare
all’iter defatigante che le coppie sterili
intraprendono con il ricorso alle
tecniche di fecondazione medicalmente
assistita. La mentalità anti vita,
intesa come esclusione dei figli, è un
fenomeno minoritario e si basa su diverse
motivazioni, come limitazione
alla libertà e autonomia della coppia;
paura di assumersi la responsabilità;
mancanza di speranza nel futuro.
La maggioranza dei coniugi nelle
società occidentali pratica, invece, la
riduzione del numero dei figli. Le cause
sono di ordine economico: mancanza di lavoro e della casa; ma anche
di ordine psicologico: molte coppie
non sperimentano il figlio come un
bene-valore, ma piuttosto come un peso.
Certamente la nascita di un figlio
significa per i genitori ulteriori fatiche,
nuovi pesi economici, altri condizionamenti
pratici: motivi, questi, che
possono indurli a non desiderare
un’altra nascita. Occorre riscoprire il
bene-valore del figlio nella famiglia e
nella società. In questa prospettiva, è
decisivo che il bene-figlio torni a ottenere
il primato nella cultura delle società
dell’Occidente. Si rende indilazionabile
una seria politica familiare
(equità fiscale e servizi sociali efficienti),
ma non basta. Occorre un’autentica
rivoluzione culturale che ristabilisca
la gerarchia dei valori e assicuri il
primato della vita umana sulle cose.
Il concetto di apertura alla vita può
trovare attuazione anche in forma diversa
da quella di fecondità naturale
propria, come l’impegno di dare una
famiglia a chi non ce l’ha. In questa
prospettiva, l’esortazione apostolica Familiaris
consortio (1981) offre una riflessione
ampia e articolata sia dal punto
di vista teologico come umano.
Luigi Lorenzetti