24/09/2012
Cerimonia di apertura del Concilio Vaticano II in san Pietro presieduta da Giovanni XXIII.
1 - Ricondurre a unità il discorso
morale. Il discorso morale in tema di
matrimonio e famiglia, ma non solo, è
sperimentato in modo frammentario
e dispersivo. Dentro e fuori la Chiesa,
si pensa alle molte norme morali e
per di più in chiave negativa. È necessario
che il discorso morale ricuperi
unità e fondamento nell’orizzonte del
grande e primo comandamento. Con
questo non si sostiene un’etica senza
norme, ma si vuol dire che le norme
non sono altro che determinazioni e
concretizzazioni dell’unico comandamento.
Così, la fedeltà, l’indissolubilità,
la fecondità non costituiscono doveri
(valori) in più, ma esigenze e determinazioni
dell’etica dell’amore.
C’è un nesso inscindibile tra amore
e fedeltà, tra amore e indissolubilità,
tra amore e fecondità. L’amore è il primo
principio teologico, allora è anche
il primo principio etico. Non si deve però
mai dimenticare che l’amore prima
che comandato è donato, è ricevuto.
Questo è vero a livello religioso: «Noi
abbiamo riconosciuto l’amore che Dio
ha per noi e vi abbiamo creduto».
Questo è vero anche a livello coniugale.
La morale, che ne deriva, è di risposta
all’amore donato, ricevuto. Sentirsi
amati dispone alla capacità di amare
gratuitamente, liberamente; sentirsi accolti,
riconosciuti, rende capaci di accogliere
e di riconoscere l’altro.
2 - Presentare le norme morali in
termini motivanti. La morale non mira
a ottenere un’obbedienza passiva a
modo di schiavi, meno che meno a ottenere
consenso per via della paura o
del castigo. Il suo unico scopo è convincere
le coscienze. Il discorso morale
non dimentica che «la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo
scelte libere e consapevoli, mosso
cioè e indotto da convinzioni personali,
e non per un cieco impulso interno
o per mera coazione esterna». Soltanto
la maturazione di convinzioni
trasforma la vita. «Dobbiamo parlare
loro (ai coniugi) con gentilezza – avvertiva
il card. Hume al sinodo dei vescovi
(1980) – guidarli gradualmente
e parlare un linguaggio che li induca
a dire: «Sì, questo è giusto; ora è chiaro;
accetto». Il traguardo di ogni formazione
morale è condurre alla convinzione
personale. Fino a che questo
traguardo non è raggiunto, la formazione
è ancora in cammino.
C - Pedagogia ecclesiale. Il discorso
morale è sempre orientato al «dover essere» e questo non è mai in pari con la
situazione o realtà esistente. Per questo
la morale è sempre critico-orientativa
della situazione data: comprende
tutto, ma non giustifica nulla, perché
giustificare significa impedire di crescere.
Importanti documenti ecclesiali
parlano di una pedagogia ecclesiale
che viene denominata Legge della gradualità.
La pedagogia ecclesiale è guidata
dalla Legge della gradualità,
che, in attenzione alle persone, è consapevole
che il cammino verso la verità
morale è graduale e progressivo; dipende
da convinzioni da maturare; prevede
possibilità e impossibilità con la disponibilità
a superarle. La pedagogia
ecclesiale è una guida saggia: conosce
la meta (l’ordine morale oggettivo), e
anche i pellegrini che, incamminati alla
stessa meta, non tutti segnano lo stesso
passo. Il Vangelo della famiglia è lieto
annuncio per tutti, specialmente
per coloro che fanno fatica ad aprirsi
un cammino umano e umanizzante.
Una morale kantiana ricorda solo
doveri da compiere, la morale cristiana
apre traguardi, delinea direzioni di
vita, offre possibilità, ricorda promesse
che incoraggiano ad andare avanti.
Luigi Lorenzetti