23/09/2012
Un momento del Concilio.
Rimangono, tuttavia alcune zone
d’ombra, che attendono di essere illuminate
nella nuova stagione che si
apre al termine di questo primo cinquantennio.
Si tratta, più che di fare
una sorta di lunga elencazione di incertezze
e di ritardi, di individuare alcuni
punti nodali di questa augurabile
“seconda fase” del cammino postconciliare
della Chiesa italiana. Assai
ampio dovrebbe essere il panorama
da tracciare, ma è giocoforza limitarsi,
in questa sede, a segnalare alcuni
“nodi” particolarmente problematici.
1 - Il primo e fondamentale “nodo”
da sciogliere è quello che riguarda la
presenza e il ruolo della Chiesa nella
società italiana: di dominio o di autentico
servizio? La posizione conciliare
era su questo punto assai netta, a tutto
favore dell’umile servizio al mondo;
ma persistono nostalgie trionfalistiche
e, mentre si riconosce pressoché
da tutti che il tempo della cristianità
è finito, si fatica a trarne le conseguenze.
Un esempio classico è rappresentato
dall’attuale prassi battesimale,
ancora quasi generalizzata ma molto
spesso quasi soltanto “per tradizione”.
Fino a che punto questa “tradizione”
potrà continuare (e sarà degna di
essere conservata?). Prendere sul serio
la constatazione della fine della
cristianità presupporrebbe inoltre
una radicale riorganizzazione delle,
spesso pesanti, strutture ecclesiali e
passare da un “cristianesimo stanziale”
(che attende nelle parrocchie i fedeli)
a un “cristianesimo itinerante”,
che cerca gli uomini là dove essi sono;
ma questa presa di coscienza è, tanto
nell’apparato ecclesiastico quanto in
molti credenti, ancora embrionale.
2 - Un secondo “nodo” che - nonostante
le solenni enunciazioni conciliari
e le successive indicazioni provenute
dal Sinodo mondiale dei vescovi
hanno portato alla pubblicazione della
Christifideles Laici di Giovanni Paolo
II (1989), deve essere ancora sciolto -
è quello dell’attiva e convinta partecipazione
dei fedeli laici, e non solo di
piccole élite, alla missione evangelizzatrice
della Chiesa attraverso una forte
e incisiva presenza nel mondo. Si
ha spesso l’impressione che il “popolo
di Dio” - dalla Lumen Gentium riconosciuto
come categoria centrale nella
Chiesa - sia ancora, nella realtà delle
cose, un corpo ancora amorfo; né
sembrano godere di buona salute -
per riconoscimento degli stessi vescovi,
come è avvenuto in occasione del
convegno ecclesiale di Verona del
2006 - quegli organismi di partecipazione
che il Concilio ha suggerito e
che o non sono stati attuati (come un
“Consiglio dei laici” italiano) o vivono
spesso di vita grama (come i Consigli
pastorali diocesani e parrocchiali).
Nessuna reale nuova evangelizzazione
dell’Italia potrà avvenire senza l’attivo
coinvolgimento di quel “popolo
di Dio” che è in grandissima maggioranza
composto di laici. La stessa crisi
delle vocazioni presbiterali e religiose
potrebbe essere letta - ma quasi mai è
interpretata in questo senso - come
un forte appello alla riscoperta dei carismi
laicali.
3 - Un terzo problema aperto è quello
della posizione della donna nella
Chiesa. Nonostante le indicazioni del
Concilio e del successivo magistero
(in particolare di quello di Giovanni
Paolo II), la Chiesa italiana continua
ad avere una caratterizzazione fortemente
unipolare, in senso maschile,
anche negli ambiti e negli spazi che di
per sé non sono esclusivi dei ministri
ordinati. Non è in questione quello
che potrebbe apparire un falso problema
- e cioè l’ordinazione delle donne
- ma il riconoscimento di un’effettiva
presenza della donna in numerosissimi
ambiti (dalla predicazione all’insegnamento
della teologia, dall’animazione
di comunità al coordinamento
di specifiche aree pastorali) per i quali
non è richiesta l’ordinazione. Del resto,
molte norme che riguardano la
donna nella Chiesa (per esempio,
nell’ambito del diritto canonico) non
hanno alcun fondamento dogmatico
o scritturistico e vanno ricondotte a
una lunga tradizione meritevole di essere
ripresa e riconsiderata alla luce
della nuova attenzione posta dal Concilio
all’area della femminilità.
Numerosi sarebbero i “luoghi” di
un insegnamento, quello conciliare,
da riprendere e da rivisitare. È augurabile
che, eventualmente in un’assise
straordinaria del “popolo di Dio” che
è in Italia, si abbia il coraggio di fare
uno schietto e disinibito bilancio di
ciò che del Concilio è passato e di ciò
che è invece rimasto imprigionato nelle
secche di un corpo ecclesiale non
sempre disponibile al rinnovamento.
Il 50° del Vaticano II è per la comunità
cristiana una grande occasione di
verifica - e se necessario di “revisione
di vita” - che non dovrebbe assolutamente
passare sotto silenzio.
Giorgio Campanini