23/09/2012
Giovanni XXIII entra nella basilica di San Pietro.
Osservano gli storici che la “recezione”
piena del Concilio di Trento ha richiesto
circa tre secoli, sia per una serie
di ritardi frapposti da chiese locali
restie a radicali riforme, sia per gli interventi
con i quali i poteri civili - in
quel tempo assai influenti, nei Paesi
cattolici, sulla stessa vita della Chiesa -
hanno ostacolato l’attuazione delle indicazioni
conciliari.
Benché i tempi siano radicalmente
mutati negli oltre 450 anni che ci separano
da quell’evento, tuttavia è necessario
prendere atto del fatto che è
ancora in corso il lungo cammino di
attuazione delle indicazioni conciliari:
passi più spediti sono stati realizzati
in alcune direzioni, lentezze e ritardi
si sono invece registrati in altri ambiti,
né sono mancati - come in campo
liturgico - quelli che da molte parti sono
stati considerati veri e propri arretramenti.
Non è dunque ancora giunto
il tempo per un vero e proprio “bilancio”;
anche se è possibile - a distanza
di mezzo secolo - dare una prima valutazione
intorno a quanto del concilio
Vaticano II è transitato nella vita
della Chiesa e quanto ha invece faticato
a circolare o si è addirittura arenato
nelle secche di un corpo ecclesiale
talora restio ad accettare le novità (e
di novità il Vaticano II ne ha recate
non poche, sino a far gridare, da qualche
parte, a uno “stravolgimento” della
tradizione ecclesiastica).
Affrontando il tema nello specifico
contesto della Chiesa italiana10, un primo
tentativo di bilancio non può che
prendere le mosse da una constatazione:
e cioè che, un poco paradossalmente,
una Chiesa che più di altre è
stata colta, per così dire, di sorpresa
dal Concilio, e che tale evento aveva
concorso solo in limitata misura a preparare
- al di là della grande intuizione
di un outsider dell’apparato ecclesiastico,
Giovanni XXIII -, è stata tuttavia,
nei successivi decenni, fra quelle
che le indicazioni conciliari hanno recepito
con maggiore entusiasmo e anche,
nel complesso, con maggiore
equilibrio, riuscendo sostanzialmente
a contemperare, e a superare, le resistenze
dei conservatori e talune intemperanze
di generosi, ma non sempre
lungimiranti, innovatori.
All’indomani del Concilio mancava
in Italia una vera collegialità episcopale
(solo sulla spinta del Vaticano II si
è formata e progressivamente affermata
la Conferenza episcopale italiana);
si registravano forti ritardi nella
ricerca teologica, ancora monopolizzata da una “scuola romana” in genere
fortemente conservatrice; era ancora
agli albori la riscoperta della centralità
della Parola di Dio; prevaleva, in
generale - salvo che in aree, soprattutto
nell’Italia settentrionale, più aperte
all’“aria nuova” che proveniva da
Oltralpe -, un cristianesimo sacrale e
devozionale, caratterizzato da una religiosità
popolare ancora ricca di valori
ma culturalmente povera e spesso
spiritualmente asfittica.
Nell’arco di questi anni, molti di
questi limiti sono stati superati e significativi
passi avanti sono stati compiuti:
nel rinnovamento della liturgia,
nel ritrovato amore per la Bibbia, nel
nuovo impulso dato alla teologia e alla
cultura cattolica in generale, nella
valorizzazione del nuovo protagonismo
laicale. In complesso, il bilancio
della recezione del Vaticano II in Italia
può essere considerato positivo.
Giorgio Campanini