04/03/2013
È fra le nuove potenze economiche e politiche mondiali ed è ben rappresentata anche in Conclave: col suo miliardo e duecentomila abitanti, l’India si presenta orgogliosamente come “la più grande democrazia del mondo”. La sua Chiesa arriva nella Cappella Sistina con una pattuglia di cinque cardinali, la metà del gruppo di porporati provenienti dall’Asia. I cinque sono espressione di una realtà diversificata e plurale, articolata in comunità cattoliche di tre riti differenti: latino, siro-malabarese, siro-malankarese.
Al rito latino, giunto in India coi missionari dell’età moderna, in testa i francescani e il gesuita san Francesco Saverio, appartiene il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza episcopale interrituale. Con lui vi sono altri due prelati latini: il cardinale Ivan Dias, ex prefetto del dicastero vaticano di Propaganda Fide, che oggi si dedica all’assistenza spirituale di sacerdoti e seminaristi; e il cardinale Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi, anch’egli impegnato in Vaticano nella Commissione di vigilanza dello Ior, ma noto nel Paese per essere il primo cardinale proveniente da un gruppo etnico tribale, gli aborigeni Oraon.
Completano il quadro due arcivescovi maggiori, leader delle due antiche chiese cattoliche di rito orientale, eredi della predicazione di san Tommaso apostolo: George Alencherry, a capo della comunità siro-malabarese, e il giovanissimo cardinale Baselios Thottunkal, siro-malakarese che, con i suoi 53 anni, è “la mascotte” del collegio cardinalizio.
I cardinali indiani portano a Roma una realtà che vede la chiesa cattolica come forza morale e sociale di grande rilevanza: pur essendo un’esigua minoranza, (il 3% in una nazione che conta 800 milioni di fedeli indù e 150 milioni di musulmani), i cristiani contribuiscono in modo decisivo allo sviluppo della nazione. Detengono, infatti, il 20% dei servizi educativi e sociali dell’intero territorio, attraverso una rete di istituzioni riconosciute come fondamentali per il Paese. Anche perché l’impegno dei fedeli, simboleggiato dalla figura di Madre Teresa di Calcutta e dalle sue Missionarie della carità, si rivolge a poveri, tribali, emarginati, diseredati, e mira a sanare le profonde fratture esistenti nella società: le discriminazioni derivanti dal sistema castale; la distanza fra le élite urbane e le grandi masse dell’India rurale; la condizione di subalternità delle donne, vittime di stupri, infanticidi e aborti selettivi; la polarizzazione religiosa e i conflitti intercomunitari, aumentati negli ultimi anni.
Sono “le due Indie”, che rappresentano un’opportunità e una sfida per i cristiani: l’India dell’eccellenza tecnologica e quella delle baraccopoli; l’India nuova potenza nucleare e quella dei 300 milioni di analfabeti, per lo più nelle aree rurali; l’India dei bramini e quella degli intoccabili: i 250 milioni fuoricasta, detti pària o dalit, considerati alla stregua di “rifiuti umani”. In loro, dice la Chiesa, c’è «il gemito dello Spirito di Dio» che grida la dignità di ogni uomo. Sono milioni di persone soggiogate per secoli attraverso esclusione sociale, privazione economica, alienazione politica, emarginazione culturale.
Fra loro, 20 milioni di cristiani, maltrattati e doppiamente discriminati, che hanno trovato nell’annuncio di salvezza di Cristo un riscatto esistenziale. «Il mistero dell’incarnazione rivela che tutti gli esseri umani sono creati a immagine di Dio, hanno la stessa natura e origine e, redenti da Cristo, godono della stessa vocazione divina. L’incarnazione svela la fondamentale uguaglianza fra tutti gli esseri umani. In queste profonde intuizioni troviamo la fonte ultima di speranza e di forza per stare accanto ai dalit nelle loro lotte e incertezze», ha spiegato il gesuita padre Arul Raja, direttore dell’Istituto per il dialogo fra culture e religioni al Loyola college di Chennai, in Tamil Nadu.
Alla comunità cristiana in India, promotrice del messaggio evangelico di libertà e dignità per ogni uomo, continuano a rivolgersi migliaia di persone: per questo nella Chiesa fioriscono le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, mentre nel Nordest dell’India, negli ultimi trent’anni, si sono registrati oltre 10.000 battesimi di adulti ogni anno.
Questa “preferenza dei poveri”, però, ha il suo rovescio di medaglia e spesso costa cara: persone e istituzioni cristiane sono divenute bersaglio di movimenti e gruppi estremisti indù, fautori dell’ideologia dell’hindutva (induità) che predicando “l’India agli indù” penalizza e colpisce le minoranze religiose. Tale ideologia è stata assorbita perfino in alcuni provvedimenti legislativi, in diversi Stati indiani dove ha governato il partito nazionalista Baratya Janata Party (Bjp). Ne sono un frutto eclatante le cosiddette “leggi anti-conversione” che, in flagrante violazione della libertà religiosa, vietano ai cittadini il passaggio da una fede all’altra. Leggi del genere sono in vigore in Orissa, Madhya Pradesh, Arunachal Pradesh, Gujarat, Chhattisgarh, Himachal Pradesh. E, secondo i cristiani, avvelenano il tessuto sociale seminando odio all’interno della società indiana.
In questo clima d’intolleranza, nel 2012 sono stati censiti 135 attacchi contro cristiani in India, come nota un rapporto del Consiglio globale dei cristiani indiani, organismo rappresentativo dei fedeli di diverse confessioni. Con un bagaglio colmo di tali sfide, l’India guarda al nuovo Papa e attende una nuova stagione per la Chiesa, che corre lungo i binari della nuova evangelizzazione. I cristiani nel Paese di Gandhi chiedono alla Chiesa universale di accogliere il grido e le angosce degli uomini, dei poveri e degli oppressi. E invitano il prossimo pontefice ad abbandonare le tentazioni di autoreferenzialità e a guardare con attenzione alle Chiese periferiche del vasto continente asiatico.
Paolo Affatato
Dossier a cura di Alberto Chiara