04/01/2011
Il primate anglicano Rowan Williams incontra Papa Benedetto XVI.
5. GLI ANGLICANI
La passione per una donna, Anna Bolena, e il desiderio di avere un erede maschio, spinge Enrico VIII, re d’Inghilterra, a tentare di ottenere una dichiarazione di nullità del matrimonio con Caterina d’Aragona figlia di Ferdinando il cattolico e zia di Carlo V. Cominciò il processo matrimoniale che ebbe due fasi distinte, in Inghilterra fino al 1529 e a Roma negli anni seguenti. Il papa Clemente VII tirò a lungo il processo, per vari motivi e indecisioni.
Nel 1529 Caterina si appellò a Roma, e da allora Clemente si mostrò più risoluto fino al punto da minacciare la scomunica al re se avesse contratto un nuovo matrimonio. Nel 1531 il re si fece proclamare capo della Chiesa inglese da un’assemblea generale del clero da lui convocata. Invano il suo cancelliere, Tommaso Moro, cercò di distogliere il re, e non potendo diede le dimissioni.
Il nuovo primate nel gennaio del 1533 celebrò le nozze fra Enrico e Anna. Il Papa non poté fare a meno di scomunicare Enrico, il quale replicò, il 3 novembre 1534, con l’Atto di supremazia con cui il re usurpava i diritti propri del sommo pontefice.
Nacquero gli anglicani, che nonostante tutto mantennero l’antica fede. Solo negarono il primato del Papa. La riforma venne accolta senza troppa resistenza. Ma ci furono persecuzioni, soppressioni di quasi tutti i conventi. I beni ecclesiastici passarono ai nobili.
5.1. LE CAUSE
Anche per gli anglicani, come abbiamo visto per il protestantesimo in genere, non fu il comportamento del re a far nascere l’anglicanesimo: fu l’atto conclusivo generato da numerosi fattori. La rottura con Roma segnò la fase finale di un movimento di riforma, di sincera pietà e fede, che si manifestava nella viva partecipazione alla liturgia, che ha il suo inizio nel ‘ 300.
A tutto ciò contrastava, l’avarizia e la corruzione del clero, l’ostilità verso Roma, che si manifestava soprattutto nel desiderio di una Chiesa autonoma e nazionale, e infine il progressivo allontanamento dal continente che portò l’Inghilterra a un isolamento sempre più profondo.
5.2. I CAMBIAMENTI
All’isolamento geografico-politico si fece sentire anche l’isolamento religioso da Roma. Questo cambiamento si maturò in vari momenti che riassumiamo schematicamente.
Enrico VIII (1509-1547). Vicende matrimoniali: divorzio da Caterina e matrimonio con Anna Bolena. Atto di supremazia: 13-11-1534. Scomunica: Clemente VII nel 1534. Paolo III nel 1535. Per i conventi e le proprietà confiscate alla Chiesa e date ai nobili si ha un aumento delle ricchezze e dei latifondi. Tutto ciò incrementò da una parte l’industria tessile e dall’altro il pauperismo.
Edoardo VI (1547-1553). Si passa dallo scisma all’eresia: la liturgia si fa in volgare e, a imitazione dei luterani, l’Eucaristia non è più celebrata come il sacrificio di Cristo. Nel 1549 appare il Book of Common Prayer, il nuovo rituale: in esso si sopprime ogni riferimento al carattere sacrificale del Messa. Nel 1553 si pubblica il nuovo Simbolo in 42 articoli di tendenza calvinista.
Maria la Cattolica (1553-!558). Volle restaurare il cattolicesimo con l’aiuto del cardinale Pole. Si arrivò nel 1554, vent’anni dopo l’Atto di supremazia, alla sottomissione dell’Inghilterra al papa. Fu un tempo tragico con molte condanne a morte per gli oppositori.
Elisabetta (1558-1603). Con notevole abilità politica fece dell’Inghilterra il pilastro della resistenza contro il cattolicesimo. Con lei il protestantesimo si affermò e si consolidò e l’Inghilterra divenne una potenza politica ed economica. Nel 1559 promulgò una nuova legge nella quale si affermava la regina supremo governatore della Chiesa d’Inghilterra, e si impose agli ecclesiastici e ai funzionari statali, un giuramento di fedeltà al sovrano. Tutti i vescovi con una sola eccezione rifiutarono il giuramento. Con Elisabetta, dopo il 1570, anno della scomunica comminata da Pio V, i cattolici furono considerati in Inghilterra come ribelli politici. Motivi politici aggravarono la situazione.
Nel 1852, nel discorso introduttivo al sinodo di Oscott, il cardinale Newman, canonizzato da Benedetto XVI nel suo recente viaggio nel Regno Unito, così descriveva la situazione dei cattolici inglesi nel seicento: «Tagliati fuori dal popolato mondo che li circondava, e appena intravisti… dagli alti protestanti … , deboli … , totalmente disprezzati».
Solo nel 1829 la situazione dei cattolici inglesi comincia a migliorare. «Tra di quelle [le comunioni ecclesiastiche nate dalla riforma], nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e strutture cattoliche, tiene un luogo speciale la comunione anglicana» (UR n. 13).
6. I CALVINISTI
6.1. CHI E’ CALVINO
I calvinisti hanno origine da Calvino. Questi nasce a Noyon nel 1509 e muore a Ginevra nel 1564. Studia a Parigi e lì si converte al protestantesimo, soprattutto per il desiderio di un ritorno alla Chiesa antica.
Calvino è profondamente diverso da Lutero. Mentre per il riformatore tedesco è fondamentale il problema della giustificazione personale, per Calvino è la gloria di Dio a occupare la mente e il cuore della sua ricerca; in questo si avvicina a sant’Ignazio di Loyola e alla mistica cattolica.
Uomo affettuoso, sensibile, fedele agli amici, riservato; diverso da Lutero; non ricerca la folla, ma la solitudine. Sa organizzare bene il suo pensiero e condurre le persone che lo seguono.
Ma appare nella sua riflessione unilaterale: Dio è visto più nella sua onnipotenza, severo giudice degli uomini, che nel suo amore che si manifesta in Cristo redentore. Più che l’amore personale per Cristo, Calvino sottolinea l’adorazione per il Signore della gloria.
La sua morale è molto severa: arriva a condannare non solo il vizio ma anche oneste distrazioni. E’ un uomo molto rigoroso, persino nella sua organizzazione politica.
La sua opera fondamentale è la Institutio christianae religionis, che rappresenta per i protestanti quello che la Summa teologica di san Tommaso è per i cattolici. Calvino non è un pensatore originale. Il suo merito è nella sistemazione organica del pensiero dei riformatori.
6.2. IL PENSIERO DI CALVINO
6.2.1 L’Eucaristia
Calvino non segue Lutero né gli altri protestanti; né consustanziazione né simbolismo. Per lui il pane e il vino sono strumenti di comunione con Cristo.
6.2.2. La predestinazione
Dio fin dall’eternità elegge alcuni alla felicità eterna e altri all’eterna dannazione. Le nostre opere quindi, per Calvino, non contribuiscono alla salvezza, ma dobbiamo compierle per la gloria di Dio e per compiere la sua volontà: «L’anima cristiana non deve considerare il merito delle opere come rifugio di salvezza, ma riposarsi interamente nella promessa gratuita di giustificazione. Tuttavia non le proibiamo di sostenersi e trarre conforto di tutti i segni della benedizione di Dio. … le buone opere che [Dio] ci ha dato devono servire dimostrare che ci è stato dato lo spirito di adozione» (Institutio III,XIV,18).
I Calvinisti in seguito, interpreteranno le opere, il successo esterno e la ricchezza materiale come indizio della benedizione divina e della predestinazione alla salvezza. E’ una prospettiva tipica dell’Antico Testamento più che del Nuovo, che porta a un dinamismo esasperato negli affari e a un disprezzo per i poveri che vengono considerati come dei reprobi. Calvino, invece, metteva l’accento sull’abbandono in Dio e sulla teologia della croce.
Al fondamento di questa concezione della predestinazione c’è la sua interpretazione del passaggio di Paolo nella Lettera ai Romani: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù» (9,13).
6.2.3. Lo Stato
Mentre Lutero attribuisce allo Stato il diritto di riformare la Chiesa, Calvino riconosce alla Chiesa il diritto di imporre allo stato le sue leggi. Da qui nasce l’esperienza a Ginevra di uno Stato teocratico. La tendenza moderna è quella di autonomia e distinzione tra Stato e Chiesa.
6.3. CALVINO E SANT’AGOSTINO
A differenza di Lutero, Calvino non è l’uomo di Chiesa che si ribella al papato; è un laico credente, con solida formazione, e che è cosciente del ruolo da svolgere nella Chiesa: riformare.
E per realizzare questa riforma della Chiesa, si ispira alla Sacra Scrittura e alla tradizione della Chiesa antica. Nel De spiritu et litera di sant’Agostino, Calvino trova la chiave per capire il mistero della Legge: «La concupiscenza è incompatibile con la carità perfetta: di conseguenza la salvezza dipende tutta dall’onnipotenza della grazia». Per questo rigetta la Chiesa di Roma e torna alla Chiesa antica e a sant’Agostino.
Si identifica anzi con il vescovo di Ippona: «Augustinus totus noster». Nella sua opera si trovano più di 4.100 citazioni di sant’Agostino. «Calvino ha compreso sant’Agostino meglio di quanto Agostino ha capito sé stesso», è l’iperbolica conclusione di J. Beckmann.
Pur apprezzando sant’Agostino, non ne condivide la sua interpretazione allegorica.
Bisogna dire che Lutero e Calvino non sono stati in grado di entrare nella ricca personalità di Agostino.
Romano Matrone