13/12/2010
Dal 29 agosto al 9 settembre 2010, un folto gruppo di lettori di
Famiglia Cristiana hanno fatto una crociera a bordo della MSC Opera,
toccando le principali capitali del Nord Europa. Durante il viaggio, don
Romano Matrone ha guidato una serie di catechesi sul cammino ecumenico,
evidenziando la genesi delle fratture tra le Chiese cristiane, le
differenze, i contrasti e il faticoso dialogo di riconciliazione. Il
materiale ora viene messo a disposizione di tutti, pubblicandolo a
puntate.
4. I LUTERANI
Si fa nascere il luteranesimo il 31 ottobre 1517 con l’affissione delle 95 tesi alla chiesa del castello di Wittemberg : questa è una leggenda.
Iserloh afferma: «Lutero esattamente in quella data si era rivolto ai propri superiori ecclesiastici». Nella lettera al vescovo Alberto di Brandeburgo, Lutero dichiara francamente ma senza toni di rottura che lo addolora il modo irresponsabile con cui vengono predicate le indulgenze; e la falsa sicurezza inculcata dai predicatori nella coscienza dei fedeli, in ordine alla salvezza E afferma: al popolo bisogna predicare il Vangelo.
Il luteranesimo non nasce nemmeno dal viaggio di Lutero a Roma del 1510, dove ricevette una impressione molto negativa del papato e della sua curia.
4.1. LE CAUSE
Le cause che hanno portato alla nascita del luteranesimo sono varie e complesse e ancora oggetto di discussione tra gli storici.
La tesi tradizionale: abusi e disordini della Chiesa e soprattutto della curia romana.
Così la pensano per esempio il giudizio di alcuni papi e dello stesso decreto Unitatis redintegratio del concilio ecumenico Vaticano II sull’ecumenismo.
Adriano VI: «Metteremo tutto il nostro impegno perché si riformi questa curia».
Paolo III, nel 1537: «Questa è stata per i nostri avversari la prima causa della loro scissione».
UR n. 3: «Comunità non piccole si staccarono dalla piena comunione della Chiesa cattolica non senza colpa di uomini di entrambe le parti».
Questa tesi riaffiora nell’Ottocento e si fa presente ancora oggi nel dialogo ecumenico.
Acton (storico inglese, 1800 ): «La massa dei cristiani voleva con la riforma migliorare il livello del clero: era per loro insopportabile che i sacramenti fossero amministrati da mani sacrileghe, essi non potevano permettere che le loro figlie si confessassero da preti incontinenti».
H. Kung: «Lutero avrebbe voluto riformare la Chiesa dai suoi abusi; l’inerzia e l’opposizione dell’episcopato lo costrinsero, per poter agire, a uscire dalla chiesa».
A questa tesi possiamo opporre due osservazioni:
Non distingue la Chiesa sposa di Gesù Cristo dagli uomini di Chiesa. Anche delle colpe contro l’unità vale la testimonianza di Giovanni: «Se diciamo di non aver peccato… la parola di Lui non è in noi».
Perciò con umile preghiera domandiamo perdono a Dio e ai fratelli separati in tutte le epoche della storia. La Chiesa, fatta di uomini deboli e peccatori, ha vissuto crisi e peccati di ogni genere. Anche oggi. La questione dei preti pedofili avrebbe potuto suscitare una rivoluzione e un giudizio contro la Chiesa ancora più forte di quella di Lutero. Ma tutto ciò ha manifestato la fede e la comunione del popolo di Dio con i suoi pastori. Ha imparato a distinguere la Chiesa sposa fedele e immacolata di Cristo, dagli uomini di Chiesa, deboli e peccatori come siamo noi tutti.
La seconda osservazione è che Lutero stesso, in molte sue affermazioni, come abbiamo visto sopra, non avalla questa tesi. Nell’opuscolo che egli scrive nel 1520 “Alla nobiltà cristiana della nazione germanica” dichiara quali sono gli abusi da abolire: 1° Distinzione tra sacerdozio e laicato; 2° Magistero supremo del papa. «Non impugno, immoralità ed abusi, ma la sostanza e la dottrina del papato».
4.1.1. La tesi protestante
Secondo i protestanti, i riformatori vogliono ritornare al genuino e vero senso del cristianesimo primitivo: la Chiesa di Roma se ne è allontanata. Essi presentano un Lutero che a parole non vuole separarsi dalla Chiesa, ma nei fatti vuole una trasformazione e quindi rifiuta i punti essenziali della Chiesa cattolica: il primato del papa, la giustificazione attraverso i sacramenti, la Messa come sacrificio della croce.
4.1.2. La tesi marxista
Per i marxisti, Lutero non fu un riformatore religioso, ma un agitatore, figlio di un contadino oppresso dalla borghesia latifondista. La rivoluzione protestante è il travestimento religioso della crisi economico sociale che si viveva a metà del Cinquecento.
Bisogna osservare che non si può spiegare il luteranesimo solo con i fattori economici: esso ne facilitò certamente la rapida espansione.
E poi al protestantesimo (il nome stesso viene dalla rivolta dei principi a Spira nel 1529), aderiscono membri delle diverse classi sociali. Anzi alle sommosse contadine del 1524-25, animate da ideali mistici e spirituali, Lutero assunse una posizione, che cambiò solo in seguito, decisamente antirivoluzionaria.
4.2. MARTIN LUTERO
Martin Lutero nasce ad Eisleben in Sassonia il 10 novembre del 1483, e vi muore il 18 febbraio del 1546.
Studia filosofia a Erfurt. Nel 1505, entra nel convento degli Eremitani di S. Agostino per un voto fatto. Nel 1507 viene ordinato sacerdote. Nel 1508 insegna a Wittemberg prima Etica, poi Dogmatica e infine Esegesi. Nel 1510 è inviato a Roma per questioni interne all’Ordine. Tra il 1515 e il 1517 si matura l’evoluzione psicologica dell’agostiniano e comincia a formularsi la nuova dottrina.
Dopo un periodo di intenso fervore spirituale a Wittemberg, Lutero cade in uno stato di profonda inquietudine temendo di non potersi liberare dal peccato e di appartenere al numero dei dannati. Il suo carattere è profondamente segnato dalla malinconia per eredità familiare: la sua educazione severa e rigida. La sua cultura profondamente impregnata di Occamismo e della mistica tedesca, lo porta alla concezione della profonda nullità dell’uomo di fronte a Dio e dell’abbandono passivo a Lui. Non riesce a distinguere nella sua riflessione, la concupiscenza e la tentazione dal peccato; e manifesta sempre più la tendenza a una esperienza anche sensibile delle realtà spirituali.
Il passaggio della Lettera ai Romani 1,17: «In esso [ nel Vangelo] infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: “il giusto per fede vivrà”», lo colpisce profondamente. Egli allora avrebbe compreso, come nota il Martina, che il termine “giustizia” non allude all’intervento con cui Dio premia i giusti e castiga i peccatori ma dell’atto con cui il Signore copre i peccati di quanti si abbandonano a Lui attraverso la fede. Questa interpretazione non è affatto nuova, come sottolinea il Denifle, ma Lutero esaspera un concetto in sé ortodosso, negando in modo unilaterale, ogni cooperazione da parte dell’uomo alla grazia.
In questo Lutero trovò una soluzione alla sua ansia: era sufficiente abbandonarsi alla Grazia, bastava credere per essere salvati.
In questo passaggio della Lettera ai Romani, Paolo non definisce che cosa intende per “giustizia di Dio”; lo farà in tutti i primi 11 capitoli: da distributiva (punizione e ricompensa secondo le opere, imparzialità), va in seguito manifestandosi come giustificante, cioè rendendo giusto, trasformando chiunque accetta di credere.
4.2.1. Alcuni giudizi su Lutero
Gli storici danno giudizi contrastanti; una cosa è certa: Lutero incarna «lo stato d’animo torbido ed esaltato che si vive nella Germania del suo tempo, è il figlio dell’angoscia tedesca, di quella eccitazione morbosa che balza plasticamente dalla incisione del Dùrer: la fine del mondo è vicina, fra poco apparirà in tutta la sua potenza Cristo e si misurerà con il diavolo» (Martina).
Ha una forte tendenza al soggettivismo che lo spinge a una interpretazione unilaterale della Scrittura.
Ne danno un giudizio negativo tra gli altri il Denifle e J. Maritain. Denifle giudica Lutero un corrotto, privo di vera umiltà, fiducioso in sé stesso, tiepido nella preghiera, persona dalle fortissime passioni. J. Maritain e Grisar presentano Lutero come un nevrotico; talmente assorbito dal lavoro da non trovare il tempo per celebrare la Messa e recitare il Breviario.
Ne danno un giudizio positivo, tra gli altri, Lortz, Adam e Giovanni Paolo II. Per Lortz e Adam, Lutero ha una profonda religiosità, una esperienza personale di Dio, un autentico senso del peccato e della propria nullità. Attaccamento vivo a Gesù Cristo. Per Giovanni Paolo II Lutero ha contribuito in modo sostanziale al radicale cambiamento ecclesiale e secolare. La profonda religiosità e il suo bisogno di luce e di verità lo spingevano ad affrontare e risolvere il problema della propria salvezza.
4.3. GLI ASPETTI POSITIVI
Lo stesso decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano II, Unitatis Redintegratio, afferma: «E’ necessario che i cattolici riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. … Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito santo viene fatto dai fratelli separati può contribuire alla nostra edificazione » (UR n. 4). Tra gli aspetti positivi di tutta la rivoluzione protestante possiamo notarne i più importanti:
L’anelito verso una religione più pura e intima.
Il senso del mistero davanti a Dio (Calvino).
L’austerità di vita, aliena da facili compromessi con il mondo.
Il culto e la frequente lettura della Scrittura.
L’importanza attribuita alla grazia.
La partecipazione più attiva alla liturgia.
La maggiore coscienza del sacerdozio dei fedeli.
La libertà di coscienza.
Il senso dei doveri sociali e civili: professionalità e coscienza nel lavoro; pagamento delle tasse.
L’incremento dato agli studi storici e della Scrittura.
4.4. ALCUNE VALUTAZIONI
4.4.1. Parola di Dio e tradizione
Lutero non conosce la differenza che c’è tra parola di Dio e Scrittura: ecco perché elimina la tradizione della Chiesa e parla di “sola Scrittura”.
La Scrittura, cioè la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), è lo scheletro, è la lettera morta, il riassunto della storia di salvezza che Dio ha fatto con il suo popolo Israele. La parola di Dio è la vita, lo stesso manifestarsi di Dio nella storia, l’evento di salvezza che precede, accompagna, e segue la Scrittura.
Per esempio la lettera che scrive l’amato alla sua amata, ricordando i momenti vissuti insieme, è la Scrittura. I due amati insieme che vivono l’evento è la Parola.
Per Paolo la parola di Dio si identifica con la predicazione del Vangelo fatta dagli apostoli: «Da voi forse è partita la parola di Dio? O è giunta soltanto a voi?» (1Cor 14,36).
«Noi non siamo come quei molti che fanno mercato della parola di Dio, ma con sincerità come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo di Cristo» (2Cor 2,17).
«In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare, senza timore, la Parola» (Fil 1,14).
«Proprio per questo anche noi rendiamo grazie continuamente a Dio perché ricevendo la parola di Dio che vi abbiamo annunciato l’avete accolta non come parola di uomini, ma qual è veramente, come parola di Dio che opera in voi che credete» (1Tes 2,13).
«Perciò fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola, sia dalla nostra lettera» (2Tes 2,15).
La Chiesa, quindi, corpo di Cristo risuscitato, animato dallo Spirito Santo è la lettera di Dio al mondo, è la parola di Dio. La Scrittura è la cristallizzazione della parola di Dio: E come senza l’amato (vedi l’esempio di prima) non esisterebbe la lettera d’amore all’amata, così senza la Chiesa non avrebbe senso la Scrittura. Lutero dando importanza alla Scrittura senza la Chiesa si priva del vero senso della Scrittura.
Fondamentale per queste considerazioni il passaggio della Lettera ai Romani: «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la Parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!” e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. … Infatti chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? … Dunque la fede viene dall’ascolto, e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rom 10, 8-17).
4.4.2. Fede, libertà e grazia
La fede è l’adesione dell’uomo a Dio come all’unica salvezza. Vedo Dio per mezzo del suo Figlio, a lui ormai bisogna credere e dopo di lui al Kerigma del Vangelo annunciato dagli apostoli, cioè che Dio ha risuscitato Gesù dai morti e lo ha costituito Kyrios. La fede in Gesù Cristo, Signore e Figlio di Dio, è la condizione indispensabile per la salvezza.
La fede non è una qualifica intellettuale, ma una adesione esistenziale che impegna tutto l’essere nella comunione con Cristo: è la testimonianza dello Spirito in noi che siamo figli di Dio.
La fede (in ebraico emunah) è appoggiarsi in Dio, come a unico fondamento della verità e della vita. Si oppone alla Legge e alla sua vana ricerca di una giustificazione mediante l’osservanza dei comandamenti. La fede è la vita nuova nel Cristo, legata all’azione dello Spirito in noi, e si manifesta in una speranza viva e nella carità.
In questa nuova natura di figli di Dio l’uomo si apre alla vera libertà: che è essere sottratti a ogni schiavitù, alla circoncisione e alle opere della Legge:
«Cristo ci ha liberati per la libertà: state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. … Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge; siete decaduti dalla grazia. … Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà.
Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come stesso» (Gal 5,1.4.13-14).
La relazione allora tra libertà e grazia è nell’adesione a Cristo in termini di amore di partecipazione alla sua vita: la grazia non toglie la libertà, la rende efficace. Dio può tutto, tranne costringere l’uomo ad amarlo. «L’unico potere di Dio è l’amore disarmato» (Ricoeur).
4.4.3. Liturgia ed Eucaristia
Lutero non considera l’Eucaristia come la celebrazione della morte e risurrezione di Cristo, ma come una cena di addio in previsione della sua morte. Manca nella sua concezione della Messa l’aspetto pasquale. E questo perché conosce solo le fonti evangeliche e non il rituale della Pasqua ebraica, che Cristo in quella notte del 14 Nissan ha celebrato con i suoi discepoli.
Cristo in quella notte con i suoi discepoli celebra il centro della liturgia ebraica, la Pasqua: pienezza di tutta la storia della salvezza che Dio ha fatto per il suo popolo.
Lutero nella Cena non riconosce nemmeno la presenza reale di Cristo.
Ma come è possibile vivere la Pasqua, portare a compimento l’esodo dalla schiavitù alla libertà, il cammino nel deserto, l’entrata nella terra promessa, e per noi cristiani, il passaggio dalla morte alla vita, senza l’assoluta presenza operante di Dio?
Chiariamo alcuni termini per poter entrare nello spirito dell’Haggadah ebraica (il rituale della Pasqua), e vivere quello che ha vissuto Gesù Cristo in quella notte. Tutto ciò è molto importante per noi oggi, per poter entrare nella verità profonda della celebrazione nel Cenacolo e nel senso vivo della celebrazione dell’Eucaristia della Chiesa oggi.
Fede: per Israele è l’assoluta presenza di Dio nella sua storia. Dio si manifesta e la storia di Israele come popolo di Dio cambia e acquista un senso di eternità. Non è un semplice credere in un dio che pretende sacrifici e olocausti: ma è l’assoluta esperienza di YHWH che lo chiama all’alleanza, facendone il popolo privilegiato fra tutti i popoli: presenza-testimonianza di Dio nella storia.
Eucaristia: è soprattutto l’azione di grazie che si innalza al Signore per aver sperimentato la sua presenza salvifica. Non è tanto dire il grazie per un beneficio ricevuto come appare in tutte le religioni pagane.
E’ la risposta gioiosa, esultante all’intervento di Dio nella sua storia. L’Eucaristia quindi è legata alla fede: se Dio non si manifesta (fede), non c’è la risposta gioiosa ed esultante all’intervento di Dio (Eucaristia). Un esempio che ci fa capire facilmente la correlazione Fede-Eucaristia: quando i tifosi gridano gol allo stadio è in conseguenza del pallone entrato nella porta avversaria. Se non c’è l’evento: pallone in rete, non c’è il grido di gioia e l’alzarsi entusiasti, in piedi, dei tifosi. L’Eucaristia è quindi vivere con gioia una presenza, come è la celebrazione della Pasqua (per Israele l’apertura del mare, per la Chiesa la risurrezione di Gesù Cristo dai morti), perché diventa, per la forza operante di Dio, la nostra Pasqua.
Memoriale: gli ebrei la notte di Pasqua celebrano il memoriale dell’uscita dalla schiavitù dell’Egitto e l’entrata nella terra promessa. Fare “memoriale”, non un semplice fare “memoria”.
Memoria è fare oggi il ricordo di un evento passato che resta nel passato; memoriale è vivere oggi, con la stessa forza di salvezza, l’evento salvifico della Pasqua; il memoriale fa presente il passato e nello stesso tempo anticipa il futuro. Ecco perché per la celebrazione dell’Eucaristia non dovremmo tradurre: «Fate questo in memoria di me», ma «Fate questo come mio memoriale».
Allora Gesù. nell’ultima cena, come ebreo, celebra con i suoi discepoli, la Pasqua ebraica e la trasforma nella Pasqua cristiana. Quando dice: «Fate questo», non si riferisce alla magia delle parole per trasformare il pane nel suo corpo, ma a tutta la celebrazione di quella notte.
Come è avvenuta questa trasformazione della Pasqua ebraica in Pasqua cristiana? Dopo la narrazione e la spiegazione dell’intervento di Dio nell’Esodo, colui che presiede alza il pane, pronuncia su di esso la benedizione, l’azione di grazie al Signore (non benedice il pane), lo spezza e lo distribuisce ai discepoli, che mangiano in silenzio. Per essi mangiare questo pane significava fare presente la schiavitù dell’Egitto. La novità di quella notte è che Gesù spezza il silenzio di quel momento dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo come mio memoriale» (Lc 22,19).
E cioè: Quello che stiamo celebrando, e che per comando di Mosé, si celebra ogni anno, d’ora in poi sarà il memoriale del mio corpo spezzato nella morte e non più il memoriale dell’uscita dall’Egitto.
E così quando Gesù solleva, dopo la cena la coppa del vino. «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi». Anche qui Gesù, mentre essi bevevano in silenzio credendo di fare presente la vecchia alleanza e l’entrata nella terra promessa, rompe il silenzio dando un nuovo significato alla comunione con il vino: si fa presente in noi la sua risurrezione.
Questa è la forza del memoriale (in ebraico zikaron). Nasce nella cena pasquale ebraica la cena del Signore, la pasqua cristiana. Lutero non conosceva questo rituale e quindi non riesce nemmeno a dare il giusto significato alle parole del Vangelo.
Romano Matrone