31/03/2013
Uno scorcio interno della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Gran parte delle comunità cattoliche presenti in Israele, Territori Palestinesi, Giordania e Cipro in questi giorni non hanno celebrato le liturgie della Settimana Santa; lo faranno la prima settimana di maggio (la Pasqua sarà domenica 5), secondo il calendario giuliano seguito dalle comunità ortodosse.
"Abbiamo deciso di adeguarci al calendario giuliano e non viceversa – spiega il vescovo William Shomali, Vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme -, prima di tutto come atto di umiltà. Il Giovedì Santo è il giorno nel quale Gesù ha lavato i piedi dei suoi discepoli. Era il più grande ma ha voluto inginocchiarsi e lavare loro i piedi. L'umiltà è la virtù che conviene ai grandi. I più forti fanno concessioni ai più deboli. Ma c'è anche una ragione pragmatica: la maggioranza dei cristiani del Medio Oriente sono ortodossi e seguono, appunto, il calendario giuliano. In Egitto, per esempio, il 96% della comunità cristiana è copto-ortodossa. Non è una scelta del tutto nuova – l'unificazione c'è già in Giordania, Palestina, Cipro, e in una parte di Israele -, la novità sta nel fatto che abbiamo voluto comprendere in questa decisione tutte le parrocchie cattoliche della Terra Santa, anche per non creare ulteriori divisioni”.
L'unificazione delle date delle festività pasquali in quest'area rappresenta un'applicazione della direttiva emanata il 15 ottobre 2012 dall'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici della Terra Santa, dopo che aveva chiesto l'autorizzazione alla Santa Sede. “Eravamo sicuri che sarebbe arrivata una risposta positiva – riprende il vescovo Shomali – ma, poiché una parte dei maroniti preferiva rimanere al rito gregoriano, abbiamo fatto ricorso a una clausola del diritto canonico che autorizza ogni ordinario a prendere per conto suo questo tipo di decisione. In questo modo, i maroniti non si sono sentiti obbligati ad adeguarsi”.
La Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Gerusalemme e Betlemme sono rimaste escluse dall'unificazione, in
queste due città i riti pasquali sono già iniziati come da calendario
gregoriano, sia per rispettare i vincoli imposti nella Città Santa dal
sistema dello “Status quo” (che regola la convivenza tra le diverse
Chiese cristiane nei Luoghi Santi, sia per tener conto dell'afflusso di
pellegrini che da tutto il mondo arrivano proprio a Gerusalemme e
Betlemme per celebrare la Pasqua). Anche la comunità di lavoratori
stranieri di Tel Aviv ha scelto di mantenere il rito gregoriano, così da
poter usufruire dei giorni di ferie in coincidenza con la Pasqua
ebraica. L'adozione della data di Pasqua secondo il calendario giuliano
è una sorta di esperimento per quest'anno e l''anno prossimo il
problema non si porrà.
“Nel 2014, infatti, - continua mons. Shomali - il calendario giuliano
e quello gregoriano coincideranno e tutta la cristianità celebrerà la
Pasqua in comune. Siamo, però, desiderosi che le diverse Chiese
cristiane si accordino per il 2015 (per allora, infatti, la disposizione
per l'unificazione della data di Pasqua dovrà essere confermata o
ricalibrata in accordo con le indicazioni che verranno dalla Santa
Sede), per stabilire definitivamente le feste pasquali scegliendo una
domenica di aprile. Preghiamo perché papa Francesco metta questa
decisione al vertice delle sue priorità. L'unificazione fa sì che membri
della stessa famiglia o dello stesso villaggio, che appartengono a
realtà ecclesiali diverse, possono celebrare negli stessi giorni la
passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. E' importante per
le famiglie che possono stare insieme, ma è anche una testimonianza di
unità che diamo ai nostri vicini non cristiani”. Vicini con i quali voi
dialogate costantemente.
“Qui noi cristiani siamo ponte fra le altre due religioni presenti,
gli ebrei e i musulmani. Questo dialogo interreligioso è importante
perché una delle componenti del conflitto che dilania la Terra Santa è
ideologica, con uno sfondo religioso. Noi cristiani siamo chiamati a
dire la verità e a difendere la giustizia, così possiamo contribuire al
processo di pace. Il Signore nel salmo 122 ci chiede di pregare per la
pace a Gerusalemme. E noi lo facciamo; anche se siamo pochi, la nostra
forza oltrepassa il nostro numero; la nostra preghiera è moderata e
convincente e può arrivare in tutto il mondo, grazie all'aiuto del
Signore”.
Romina Gobbo
Dossier a cura di Alberto Chiara