31/03/2013
una pagina del libro La felicità della Pasqua nella dottrina di Paolo VI (a cura di Leonardo Sapienza)
A guardare bene la continuità con Paolo VI non sta solo in quell’anello che Francesco porta al dito frutto del calco che Montini non fece mai fondere perché aveva deciso di tenere al dito l’anello del Concilio Vaticano II. Tra il Papa bresciano e quello argentino corre l’idea di una Chiesa inclusiva, che apre le braccia all’umanità, che non guarda con sospetto al mondo contemporaneo, che vuole snellire i riti e le liturgie per fare più spazio alla Parola. Corre l’idea della fede come fonte di felicità. «Non siate donne e uomini tristi», ha esortato papa Francesco nell’omelia per la domenica delle palme. E ai suoi sacerdoti, il giovedì santo, nella messa crismale ha ricordato che «il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara.
Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia». Della felicità non ha mai smesso di parlare anche Paolo VI. Con gesto anche allora fuori dall’ordinario, papa Montini scelse, nel 1964, di celebrare la sua prima Pasqua da Pontefice con i fedeli della parrocchia romana di Santa Maria dell’Olivo, alla borgata Settecamini. Ce lo ricorda padre Leonardo Sapienza, reggente della casa Pontificia e curatore di un bel volume pubblicato dalle edizioni Viverein: La felicità della Pasqua nella dottrina di Paolo VI. Nell’omelia di quella messa del 1964, sottolinea monsignor Sapienza, Paolo VI spiegò così la motivazione di quella scelta: «condividere con i fedeli la letizia, la felicità della Pasqua».
In tutti i successivi messaggi per la Pasqua, torna in Paolo VI lo stesso riferimento alla gioia: «Il cristianesimo, lo ripetiamo», sottolineava papa Montini utilizzando il plurale maiestatis come si usava allora, «non è facile, ma è felice». In ogni Pasqua Paolo VI ricordava il messaggio centrale della Resurrezione: «l’annuncio della gioia». Un annuncio rivolto a tutti: «A voi, uomini amici», diceva Montini, «che sulle soglie della Chiesa piena di canto e di gaudio osservate con meraviglia e con qualche diffidenza la nostra festa, l’invito cortese e profondo: “venite e vedete”; forse l’esperienza della nostra vita religiosa, oggi vi può essere argomento di luce. A voi che soffrite e che sperimentate la fatica del vivere rivolgiamo con la voce di Cristo risorto lo stesso invito, ma a voi più specifico, più penetrante: “venite, voi tutti che siete affaticati e oppressi e troverete consolazione”».
Negli anni più difficili del suo Pontificato Paolo VI non smette di annunciare la gioia: «La gioia è il vero retaggio del cristiano», ripete Paolo VI nel 1968 e «La felicità della Pasqua» è il titolo che mette sul manoscritto per la sua ultima Pasqua, quella del 1978. Da pochi giorni la scorta di Aldo Moro è stata trucidata e il presidente democristiano, stretto amico del Papa, è nelle mani dei brigatisti. Il Papa non manca di ricordarlo, ma al contempo continua a esortare e a sperare. A far giungere a tutti, «Figli e fratelli, l’augurio pasquale: che con la certezza della fede, voi possiate sperimentare il gaudio che le è proprio».
Annachiara Valle
Dossier a cura di Alberto Chiara