11/04/2013
Massimo Paolicelli
«Il grande messaggio dell’enciclica di Giovanni XXIII, che si rivolge sia alle singole persone che agli Stati, è che la vera pace si può costruire solo sulla vicendevole fiducia rigettando l’idea, che c’era all’epoca e che c’è purtroppo ancora oggi, che solo l’equilibrio delle armi possa garantirla ristabilendo condizioni di giustizia». Massimo Paolicelli, fondatore e presidente nazionale delll'Associazione Obiettori nonviolenti, è un esponente di spicco del movimento pacifista italiano. Ha svolto due mandati nella Consulta nazionale per il Servizio civile presso la Presidenza del Consiglio e ora collabora come esperto sui temi della difesa alla campagna "Sbilanciamoci" e con la Rete italiana per il disarmo.
Il bilancio sull'eredità della Pacem in terris, secondo Policelli, presenta luci e ombre: « A cinquant’anni di distanza», afferma, «due aspetti dell’enciclica sono diventati realtà: la dottrina dei diritti umani, affermatasi nell’ambito del diritto internazionale e della diplomazia, e la stessa governance globale che sia pure tra mille difficoltà e ostacoli si è fatta finalmente strada».
E le ombre?
«Va superata l’idea che le armi garantiscano condizioni di giustizia e, di conseguenza, la pace mondiale. Purtroppo i dati, sconfortanti, dicono che quest'impostazione resiste: nel 2011 sono stati spesi 1738 miliardi di dollari per il sistema militare, pari al 2,5 per cento del Pil mondiale, circa 249 dollari a persona. Nel mondo ci sono quasi 20mila testate nucleari, di cui 90 solo in Italia. Il nostro Paese non è da meno e dà un discreto contributo a tutto questo spendendo 24 miliardi di euro per la difesa e le armi e aderendo a progetti discutibili come quello sul cacciabombardiere F35 con capacità di trasporto di ordigni nucleari che ci costerà ben 13 miliardi. Mentre per azioni concrete di pace come il sostegno al Servizio civile nazionale vanno appena 68 milioni di euro tanto che quest’anno non si farà un bando che riesca a superare i 20mila giovani».
Eppure, un passo avanti importante è stato fatto con il trattato Onu, approvato di recente, che regolamenta il commercio mondiale di armi. O no?
«È un fatto enormemente positivo che non risolve il problema, ovviamente, ma va coraggiosamente nella direzione giusta. Non dimentichiamo però che a risultati come questo si è arrivati anche per la mobilitazione del movimento pacifista e della Rete del disarmo che su questi temi, anche negli ultimi anni, non si sono mai fermati, a dispetto di quello che magari poteva apparire dell’esterno».
Non vorrà negare una certo appannamento del movimento, specie nell’ultimo periodo.
«No. Le difficoltà attuali, in Italia e non solo, vanno collegate al momento di oggettiva difficoltà che stanno attraversando un po' tutte le associazioni e i gruppi di persone in questo frangente di crisi e soprattutto alla mancanza di una risposta politica alle loro battaglie. Negli anni scorsi c'è stata una forte mobilitazione sulla guerra, è vero, ma non su tutti quegli atti che preparano la guerra come appunto l’acquisto di armi».
Molti olti pacifisti italiani si sono candidati alle scorse elezioni politiche e alcuni sono ora in Parlamento.
«Non giudico le scelte delle singole persone che hanno deciso di entrare in politica ma ritengo che molti partiti utilizzino strumentalmente la presenza della società civile tra i loro eletti. Noi abbiamo analizzato i programmi dei partiti che si sono presentati alle ultime elezioni e nessuno, tranne "Sinistra Ecologia Libertà" e "Rivoluzione Civile", trattava dei temi di esteri, difesa e Servizio civile nazionale. Non si sono posti neanche il problema di parlarne nel programma anche se si tratta di una dichiarazione d’intenti. E questa è una cosa grave. Adesso ci sono alcuni referenti del movimento pacifista in Parlamento che hanno il compito di contaminare i loro colleghi su questi temi, a cominciare dalla nostra battaglia sugli F35 che sta portando i suoi frutti. Siamo, infatti, riusciti a ridurre gli aerei da 131 a 90. Ci sembra positivo che uno dei primi atti presentati alla Camera sia stata una mozione (primo firmatario il leader di Sel Nichi Vendola, ndr) per il ritiro del progetto degli F35».
Insomma, meglio dentro o fuori dalla politica?
«Stare dentro va bene se si lavora per contaminare i colleghi e i partiti, altrimenti è meglio stare fuori e dare forza all’associazionismo. Io personalmente preferisco l’impegno esterno, nella società civile».
Antonio Sanfrancesco
a cura di Alberto Chiara e Antonio Sanfrancesco