16/05/2013
San Francesco d'Assisi.
E’ ancora presto per un’enciclica sociale del nuovo Papa. Ma i primi segnali già ci sono. Giorno dopo giorno, papa Francesco aggiunge una tessera del mosaico della dottrina della Chiesa legata alla nuova epoca della globalizzazione. Lo fa con molta coerenza rispetto alla sua esperienza di vescovo e cardinale. Quando l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio ha scelto il nome del santo di Assisi per il suo pontificato, pensava a “una Chiesa povera per i poveri”, ma, da fine intellettuale e da buon gesuita, la sua scelta si riferiva anche ad una visione teologica, filosofica e sociale.
Non tutti sanno che i francescani, nel medioevo, fondarono le basi della finanza moderna. Con i francescani è praticamente nata l’economia di mercato, frutto maturo della scuola di pensiero di Bonaventura di Bagnoregio e altri filosofi. Pensiamo ai Monti di Pietà, da loro fondati nell’ambito della lotta all’usura. Ma anche i principali strumenti contabili nascono in ambito francescano. La partita doppia è stata perfezionata da Luca Pacioni, collaboratore di Leonardo da Vinci. La povertà dei francescani era libertà e distacco dalle cose materiali, ma significava anche lotta alla miseria che è la mancanza di sostentamento e dignità. “Quando San Francesco, di fronte al vescovo attonito si spoglia e rimane nudo lo fa perché si sente finalmente libero. Ma ai suoi confratelli raccomanda di tenere sempre nella madia pane e formaggio per i poveri che bussano alla porta del convento”. Chi conosce il nuovo pontefice fin dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires è l’economista Stefano Zamagni, padre degli studi sul Terzo Settore e studioso di economia francescana, che ha svolto lunghi soggiorni presso l’Università Cattolica della capitale argentina. “Il Papa dovrà scegliere il modello di economia di mercato più consono alla Chiesa e alla redistribuzione equa delle risorse economiche” afferma l’economista bolognese. “Benedetto XVI aveva già scelto chiaramente nella Caritas in Veritate la terza via: l’economia civile di mercato”. Il dilemma, per Zamagni, è tutt’altro che semplice: “Si tratta di stabilire se si ritiene che la dottrina sociale della Chiesa debba limitarsi ai problemi della giustizia - e quindi alla sfera della distribuzione del reddito e della ricchezza - oppure se si pensa che ci si debba occupare anche della ricchezza e del reddito. Noi sappiamo che, a partire da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II, la prevalenza è stata sul primo momento, il momento della distruibuzione: la giusta mercede all’operaio, ai più deboli, la lotta alle disegueglianze. Il papa tedesco aveva inaugurato un’altra stagione per il pensiero cristiano: la sfera della produzione. Perché è durante la produzione che si possono commettere le ingiustizie più grandi. Se l’acqua è inquinata, bisogna intervenire sulla sorgente. Per troppo tempo la dottrina sociale della Chiesa si è occupata di distribuzione (con la sacrosanta attenzione ai poveri, a chi meno ha) dimenticando le fasi della produzione della ricchezza. Ma se io mi occupo della condizioni di vita e non delle capacità di vita non rendo giustizia alla dignità dell’uomo e giungo a rendere sterile il pensiero economico”.
Francesco Anfossi