13/09/2012
Uno striscione di benvenuto per il Papa a Beirut (Reuters).
“Di solito non seguo le notizie in Tv ma la visita del Papa è una buona notizia
per la convivenza tra cristiani e musulmani”. Il viso deciso di Enaja, l’unico
tratto chiaro nel nero dell’abaja – l’abito delle islamiche osservanti - che
l’avvolge dalla testa ai piedi, testimonia come anche i musulmani di Beirut
vivano l’attesa di Benedetto XVI in arrivo domani, 14 settembre, nella capitale
libanese con un senso di festa.
Nel quartiere di Dahye, la roccaforte di
Hezbollah, il “partito di Dio” sciita, ci sono pannelli con il ritratto del
Pontefice da solo o con il presidente libanese Suleiman che annunciano la visita
dell’illustre ospite e bandierine bianche e gialle si alternano a quelle
bianche, rosse e verdi della Repubblica libanese.
“Il Papa non può risolvere
tutti i problemi”, afferma il segretario del Movimento XIV Marzo (la formazione
politica di opposizione), il cattolico Fares Souaied, “ma tutti si aspettano
che venga a incoraggiare sulla strada del rispetto dei diritti umani e della
libertà intrapresa con la primavera araba”.
A Beirut il contraccolpo delle
violenze divampate in queste ore in Libia, al Cairo e nello Yemen, si manifesta
solo nei commenti della gente, desolata per la gravità degli eventi scatenati
dalla diffusione delle immagini ritenute offensive del Profeta Maometto. Il
Libano ha già pagato un prezzo molto alto alla difesa delle identità etniche e
religiose con 15 anni di guerra civile e le ferite si vedono ancora in giro per
la città.
C’è voglia di pace e di stabilità. Come quella che è venuta a cercare
Baker Mohd Ali in fuga dalla Siria: “Non so dire di chi sia la colpa di quanto
avviene nel mio Paese”, afferma, “ma spero che arrivi presto una soluzione”.
Baker è cristiano, armeno: sesabato non dovrà lavorare a giornata come fa
nelle strade da quattro mesi, andrà all’incontro dei giovani con il Papa a
Baabda. Se riuscirà a tornare in Siria - un giorno- , potrà raccontarlo alla sua
famiglia.
Chiara Santomiero