06/04/2013
La maggior parte degli autori che in questi ultimi anni stanno indagando il rapporto tra gli italiani e la fede sta osservando
un progressivo cambiamento nell’approccio alla religiosità, alla pratica e, in ultimo, al credo religioso nel nostro Paese. Un processo lento, ma costante, che ha avuto una forte accelerazione con le generazioni nate negli anni ’70 e che sta facendo emergere dinamiche nuove sia tra i giovani (nella fascia intorno ai 20 anni), sia tra i 40-50enni. Il fenomeno più evidente non è tanto quello della secolarizzazione e della scomparsa della dimensione religiosa dalla scena sociale, così come previsto alcuni decenni fa, quanto quello della parcellizzazione della fede, che diventa sempre più una esperienza individuale, parziale, particolare, che ogni persona vive e taglia su misura in base alle proprie esigenze.
Una religione e una fede meno legate all’appartenenza strutturata ad una Chiesa e più impulsive, irrequiete, meno ancorate alla comunità territoriale e più strettamente connesse a comunità elettive, dove ci si riconosce reciprocamente e ci si rispecchia. Si tratta dell’onda lunga dei processi di cambiamento in corso in questa fase di transizione dall’epoca industriale all’era contemporanea, ben descritti da Rifkin (Rifkin 2000) e caratterizzati dalla de-materializzazione dei processi produttivi e dalla ristrutturazione dei processi relazionali e sociali attorno ai nuovi principi fondativi (la connettività, la personalizzazione, la fusione emotiva, il superamento dei limiti della fisicità, la molteplicità dei sistemi di costruzione di senso).
Se tradizionalmente la religione e le Chiese hanno sempre avuto una funzione importante dal punto di vista sociale, come strumenti di trasmissione dei valori e della morale, oggi questo processo si è decisamente allentato di fronte alla pluralità dei sistemi di costruzione e narrazione dei valori in cui ognuno di noi è inserito. La fede diventa più scelta individuale che scontato risultato di una appartenenza sociale. Essere cristiani oggi, sentirsi cristiani, dichiararsi cristiani non è semplicemente il risultato indotto derivato dal fatto di essere nati e cresciuti in un particolare contesto socio-culturale (di chi è nato e cresciuto in un contesto in cui il cristianesimo è la condizione standard e quindi ha fatto sua in maniera spesso acritica questa appartenenza), ma sempre più il risultato di un lungo percorso di scelta più o meno consapevole.
Dal cristianesimo di appartenenza stiamo transitando verso un cristianesimo di elezione, che avrà indubbiamente numeri più ridotti di un tempo, e dove cambia in maniera importante anche la modalità stessa con cui ci si approccia alla fede, con la tendenza alla costruzione di piccoli gruppi clanici elettivi, a volte anche fortemente contrapposti, pur all’interno della medesima esperienza religiosa.
L’esperienza di fede diventa quindi sempre più individuale, meno dipendente dalla base sociale del territorio in cui si vive e si cresce, ma al contempo molto più social, ovvero molto più connessa, sollecitata e suggestionabile dal modo in cui all’interno dei diversi contesti di appartenenza viene rappresentata e narrata l’esperienza di fede. Per quanto l’ambito familiare continui ad essere un luogo chiave di formazione alla fede (secondo i giovani italiani la propria madre è stata il personaggio più significativo per la costruzione della propria fede), la nostra idea di Chiesa, di religione, viene sempre più influenzata da un articolato insieme di narrazioni che trascendono dalla nostra esperienza individuale diretta, ma che, in base alla forza dell’audience che questi fenomeni riescono ad avere, incidono nelle nostre rappresentazioni e nei nostri vissuti.
E’ di pochi mesi fa il caso del parroco di Lerici che ha esposto nella bacheca della sua parrocchia un testo in cui esprimeva opinioni per nulla condivisibili e condivise sul tema della violenza contro le donne e che, in poche ore è diventato un caso nazionale, con un’audience enorme e con servizi televisivi, articoli, commenti, post sui social network che ne hanno amplificato la portata ben oltre le intenzioni del povero curato. Quel volantino, i cui contenuti vent’anni fa non avrebbero superato i confini della sua comunità religiosa, ha dato origine ed è stato utilizzato in maniere assai diverse, per costruire una molteplicità di narrazioni della Chiesa contemporanea, divenendo una rappresentazione non solo del pensiero di quel parroco, ma della Chiesa che lui in quel momento rappresentava. Il fatto in sé ha ampiamente trasceso i confini territoriali e situazionali per essere fatto proprio dai diversi clan (giornalisti, comitati per la difesa delle donne, detrattori e sostenitori della chiesa, ecc…), reinterpretato, ridefinito, ri-narrato secondo gli schemi e le aspettative proprie dei diversi clan e assumendo una forma assai diversa laddove l’interpretazione era affidata ad un clan più vicino o più lontano alla Chiesa e alla specifica situazione della comunità di Lerici.
Il sociologo Riccardo Grassi.
Nella società iperconnessa, ognuno di noi fa parte di più clan elettivi, formati da insiemi di persone con cui siamo in relazione fisica o virtuale, con i quali condividiamo esperienze, emozioni, letture ed interpretazioni del mondo. Questo accade rispetto alla politica, allo sport, ai consumi culturali e anche rispetto alla fede. Le relazioni liquide, il diradarsi dei legami di comunità ci porta ad aggregazioni tra simili in cui si accentuano gli elementi di riconoscibilità e di rispecchiamento interni al gruppo e, allo stesso momento, si amplificano gli elementi di differenza rispetto all’esterno.
Ecco allora che esiste una molteplicità sempre più variegata di essere credenti. Secondo una rilevazione SWG del febbraio 2012, in Italia il 12% della popolazione si definisce non credente, il 21% esprime un variegato insieme di credenze religiose dalle più tradizionali alle meno strutturate, il 67% si definisce cattolico. Tra questi, tuttavia, la varietà dei clan è massima e non si misura solo nel grado di intensità con cui si vive la propria religiosità. Non è solo una questione di praticanti e non praticanti, ma anche tra i praticanti più assidui si assiste ad una molteplicità di clan ognuno dei quali esprime una propria specificità costruendo narrazioni articolate e contrapposte.
All’esperienza clanica, inoltre corrisponde sempre più anche un rilevante dinamismo biografico, per cui possiamo parlare di vere e proprie “carriere di fede”, durante le quali l’intensità della fede cambia nel tempo, in funzione degli eventi della vita individuale, delle appartenenze claniche, delle macro-narrazioni che vengono elaborate a livello globale rispetto alla chiesa e alla religione.
In un mondo che sta cambiando rapidamente, anche le modalità con cui si vive e si sviluppa la fede si evolvono, dando vita non più a grandi movimenti, ma a micro biografie individuali e claniche, che mutano costantemente nel corso della vita. La fede, la pratica, l’appartenenza religiosa non è data e nemmeno acquisita una volta per tutte, ma rappresenta sempre più una traiettoria che cambia nel tempo e che, ad ogni incrocio può cambiare direzione.
Riccardo Grassi
Sociologo,
ricercatore SWG,
Istituto Superiore di Studi Religiosi di Novara
Bibliografia di riferimento
Garelli F (2012) “Religione all’Italiana”, Il Mulino, Bologna
Marchisio M (2010) “La religione nella società degli individui”, Franco Angeli, Milano
Rifkin J (2000) “L’era dell’accesso”, Mondadori, Milano
Dossier a cura di Fulvio Scaglione e Alberto Chiara