27/03/2013
La tenerezza di Papa Francesco che bacia un bimbo
Per la prima udienza generale in piazza San Pietro, papa Francesco, passa tra i fedeli con la consueta jeep bianca, il sorriso e il pollice in segno di ok. Bacia i bambini mentre il colonnato si riempie di fedeli. Le bandiere argentine e degli Stati Uniti in primo piano sventolano festanti. Ed è di gioia il messaggio che il Papa vuole dare alla folla. “Bisogna uscire, bisogna andare incontro agli altri per portare la luce e la gioia della nostra fede. Bisogna uscire sempre con l'amore e la tenerezza di Dio”, dice sottolineando la sua tristezza per le parrocchie chiuse o vuote.
“Aprire a tutti le porte di Dio”, dice agli oltre 15.000 presenti, "dovete essere la presenza di amore di Dio. Soprattutto durante la settimana santa “i cristiani devono ‘uscire’ da se stessi per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza”. Bisogna muoversi “verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto”.
Papa Francesco ha
iniziato la catechesi sottolineando che raccoglieva "con grande
riconoscenza e venerazione" il testimone dalle mani di Benedetto XVI.
"Dopo la Pasqua - ha detto - riprenderemo le catechesi dell’Anno della
fede. Oggi vorrei soffermarmi sulla Settimana Santa. Con la Domenica
delle Palme abbiamo iniziato questa Settimana – centro di tutto l’Anno
Liturgico – in cui accompagniamo Gesù nella sua Passione, Morte e
Risurrezione". Quindi ha proseguito: "Ma che cosa può voler dire
vivere la Settimana Santa per noi? Che cosa significa seguire Gesù nel
suo cammino sul Calvario verso la Croce e la Risurrezione? Nella sua
missione terrena, Gesù ha percorso le strade della Terra Santa; ha
chiamato dodici persone semplici perché rimanessero con Lui,
condividessero il suo cammino e continuassero la sua missione; le ha
scelte tra il popolo pieno di fede nelle promesse di Dio. Ha parlato a
tutti, senza distinzione, ai grandi e agli umili, al giovane ricco e
alla povera vedova, ai potenti e ai deboli; ha portato la misericordia e
il perdono di Dio; ha guarito, consolato, compreso».
«Ha dato speranza, Gesù», ha continuato papa Francesco: «ha portato a tutti la presenza di Dio che si interessa di ogni uomo e
ogni donna, come fa un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei
suoi figli. Dio non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è
mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. Dio è così: Lui fa
sempre il primo, lui si muove verso di noi. Gesù ha vissuto le realtà
quotidiane della gente più comune: si è commosso davanti alla folla che
sembrava un gregge senza pastore; ha pianto davanti alla sofferenza di
Marta e Maria per la morte del fratello Lazzaro; ha chiamato un
pubblicano come suo discepolo; ha subito anche il tradimento di un
amico. In Lui Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in mezzo a noi. "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il
Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo" (Mt 8,20). Gesù non ha casa
perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a
tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio».
Il
Papa ha detto quindi che nella Settimana Santa «viviamo il vertice di
questo cammino, di questo disegno di amore che percorre tutta la storia
dei rapporti tra Dio e l’umanità. Gesù entra in Gerusalemme per compiere
l’ultimo passo, in cui riassume tutta la sua esistenza: si dona
totalmente, non tiene nulla per sé, neppure la vita. Nell’Ultima Cena,
con i suoi amici, condivide il pane e distribuisce il calice “per noi”.
Il Figlio di Dio si offre a noi, consegna nelle nostre mani il suo Corpo
e il suo Sangue per essere sempre con noi, per abitare in mezzo a noi. E
nell’orto degli Ulivi, come nel processo davanti a Pilato, non oppone
resistenza, si dona; è il Servo sofferente preannunciato da Isaia che
spoglia se stesso fino alla morte (cfr Is 53,12)».
«Gesù – ha detto -
non vive questo amore che conduce al sacrificio in modo passivo o come
un destino fatale; certo non nasconde il suo profondo turbamento umano
di fronte alla morte violenta, ma si affida con piena fiducia al Padre.
Gesù si è consegnato volontariamente alla morte per corrispondere
all’amore di Dio Padre, in perfetta unione con la sua volontà, per
dimostrare il suo amore per noi. Sulla croce Gesù «mi ha amato e ha
consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Ciascuno di noi può dire: 'Mi
ha amato e ha consegnato se stesso per me'. Ciascuno può dire questo
'per me'”.
Poi si chiede: «Che cosa significa tutto questo per noi?
Significa che questa è anche la mia, la tua, la nostra strada. Vivere la
Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore,
vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da
noi stessi - come dicevo domenica scorsa - per andare incontro agli
altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per
primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli
più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno
di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare
la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!».
«Vivere
la Settimana Santa – ha aggiunto - è entrare sempre più nella logica di
Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del
dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta
vita. E’ entrare nella logica del Vangelo. Seguire, accompagnare Cristo,
rimanere con Lui esige un “uscire”: uscire. Uscire da se stessi, da un
modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di
chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte
dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in
mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la misericordia
di Dio che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e
rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto
delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la
pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi,
come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se
stesso per noi».
E ha proseguito: «Qualcuno potrebbe dirmi: “Ma,
padre, non ho tempo”, “ho tante cose da fare”, “è difficile”, “che cosa
posso fare io con le mie poche forze?”, anche con il mio peccato, con
tante cose? Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa
domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non
abbiamo il questo coraggio di “uscire” per portare Cristo. Siamo un po’
come san Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e
risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende
in disparte e lo rimprovera. Quello che dice Gesù sconvolge i suoi
piani, appare inaccettabile, mette in difficoltà le sicurezze che si era
costruito, la sua idea di Messia. E Gesù guarda i discepoli e rivolge a
Pietro forse una delle parole più dure dei Vangeli: «Va’ dietro a me,
Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc
8,33). Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio
pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso. Dio pensa come
il padre che attende il ritorno del figlio e gli va incontro, lo vede
venire quando è ancora lontano… Quello che significa? Che tutti i giorni
andava a vedere se il figlio tornava a casa. Questo è il nostro Padre
misericordioso. E’ il segno che lo aspettava di cuore tutti i giorni
dalla terrazza della sua casa; Dio pensa come il samaritano che non
passa vicino al malcapitato commiserandolo, o guardando dall’altra
parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio; senza chiedere
se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco, se era
povero: non domanda niente. Non domanda queste cose, non chiede nulla.
Va in suo aiuto: così è Dio. Dio pensa come il pastore che dona la sua
vita per difendere e salvare le pecore».
«La Settimana Santa - ha
detto - è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte
del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che
pena, tante parrocchie chiuse! – nelle nostre parrocchie, dei movimenti,
delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini
per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! E
questo con l’amore e la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza,
sapendo che noi mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro
cuore, ma poi è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione.
Auguro a tutti di vivere bene questi giorni seguendo il Signore con
coraggio, portando in noi stessi un raggio del suo amore a quanti
incontriamo».
Annachiara Valle
Dossier a cura di Alberto Chiara