Cristo risorto, l'alba della fede

Pasqua 2012 con il cardinale Ravasi, Ferruccio Parazzoli, Mariapia Bonanate: le ragioni della speranza cristiana.

Tra cielo e terra

07/04/2012
Risurrezione di Cristo, Piero della Francesca.
Risurrezione di Cristo, Piero della Francesca.

C’è un momento nella vita in cui ci ritroviamo nudi dinanzi a noi stessi. Ci guardiamo allo specchio, come se ci vedessimo per la prima volta. Ascoltiamo la nostra voce più profonda. E sentiamo di dover far chiarezza su quelle domande fondamentali che abbiamo sempre rinviato. Per omissione, indifferenza, paura. Il transito storico che stiamo vivendo, confuso e vuoto di riferimenti, alimenta questa urgenza. Ferruccio Parazzoli, viaggiatore di lungo corso sulle strade dello spirito e dell’interrogazione che salda il cielo alla terra, ha avvertito quest’imperativo. È sceso sul terreno con il quale un po’ tutti, o prima o dopo, facciamo i conti. La fede. Sulla quale ha basato la sua vita di uomo e di scrittore: «Per non uscire di scena, quando accadrà, senza avere avuto il coraggio e l’onestà non tanto di capire cosa sia rimasto di quella fede, ma quale sia davvero la tua fede, spoglia, drammatica, sia pure aggrappato a una zattera, al posto di tutto un imponente vascello, paludato di verità ormai ingestibili».

Risurrezione dai Misteri del Rosario, Vincenzo Campi.
Risurrezione dai Misteri del Rosario, Vincenzo Campi.

Non è stato facile per lui, non è semplice per chi legge Eclisse del Dio Unico (Il saggiatore), dove racconta la sua avventura interiore che è confessione, indagine sui confini estremi, denuncia, lacerazione, richiesta. La cosa certa, per liberare subito il campo da letture in superficie o strumentali, è che non ha «abbandonato il cristianesimo», come è stato scritto. Non ha vissuto una conversione alla rovescia. Certo, narrare Dio, protagonista assoluto del suo libro, chiede quel silenzio discreto e, a tratti, la pagina bianca che può suscitare il sospetto di una cancellazione. «Non si può avere fretta di parlare di Dio. Se cediamo troppo presto alla tentazione di ricorrere a un Dio, sia pure eclissato, rischiamo strade senza uscita». E aggiunge: «La fede in Cristo – poiché questo è il cristianesimo – è per me irrinunciabile. Vorrebbe dire altrimenti che la mia vita, oggi, in questo stesso momento, non ha più senso».

Che il Dio Unico, ebraico-cristiano, sia diventato una Presenza sfocata che non interessa più, lo avvertiamo tutti. Nel privato, come nel pubblico. Lo stesso Benedetto XVI ha parlato di una «stanchezza del credere» che ha portato a quel nichilismo di massa che Parazzoli individua come «l’incapacità dell’uomo occidentale di “prendere parte”, di rischiare su qualcosa d’assoluto, sul sì o sul no. In passato il silenzio di Dio provocava la rivolta, oggi crea l’indifferenza. Chi ancora crede non osa dire: e Dio dov’era quando... Gli è stato insegnato che un uomo di fede questa domanda non se la pone. La maggioranza, non si pone nemmeno più il problema della fede.

Che c’entra mai quel tale Dio nella nostra vita, quel Vecchio Dio che ci arriva da quel libro remoto, che si chiama Bibbia? Quel Dio tace, andiamo avanti, non venite a disturbarci, la vita è già difficile così com’è!». Ma Dio non si arrende. È in agguato sulle nostre strade. Ci aspetta perché lo rintracciamo nella sua Presenza in ogni spazio della vita e dell’universo. È impastata con il nostro corpo e anima.
Ha un’ampiezza fuori ogni misura umana, imprendibile. Come di fronte al mistero del male e della sofferenza, che contrasta con l’idea di bontà, amore, bellezza che la tradizione ci ha consegnato. Sempre Benedetto XVI, in visita ad Auschwitz, sopraffatto da «uno sbigottito silenzio», ha gridato: «Perché Signore hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? Non permettere mai più una cosa simile». E invece Auschwitz ha continuato a moltiplicarsi in Cambogia, in Argentina,nella ex Jugoslavia, in Ruanda, in tante stragi di oggi.

Ma è proprio il suo apparire in ogni cosa a renderlo “inevitabile”. C’imbattiamo di continuo in lui, come nell’aria che respiriamo. «Il mondo nel suo presente, nella sua dinamicità è la rappresentazione stessa di Dio, è la vita stessa di Dio». Per incontrarlo dobbiamo metterci in gioco, “sporcarci le mani” nel rischio del dubbio, superare la paura di lasciare il certo per l’incerto. Creare un approccio nuovo, a cominciare dal linguaggio, incapace di verticalità come di abissi, mediatico e autoreferenziale. L’uomo d’Occidente, abbandonata la dimensione metafisica, parla solo di sé stesso.

Non c’è più preghiera, come non c’è rivolta. La stessa Chiesa, per prima, sembra avere perso la forza di un linguaggio vivo, che superi la difesa delle istituzioni, per diventare profetico. Conclude Parazzoli: «Non ha bisogno, per essere presente, di uomini sconfitti e rassegnati. Ma del Cristo vittorioso che scavalca il sepolcro, come nel dipinto di Piero della Francesca. Il Risorto, anche se non sappiamo, per quanto osiamo tuttavia dire quando diciamo Risurrezione. Non un Cristo strumento di un disegno previsto e prevedibile, per rimettere le nostre colpe e quelle dei nostri Padri a costo della propria vita. Egli si offre come Dio che può risorgere, allora e oggi, solo con la risurrezione di Cristo. Per poter donare il Regno dell’amore a quel mondo, basato sulla sopraffazione e sulla violenza che lo ha eclissato. È dunque il Cristo Risorto che dobbiamo accogliere e che accolgo. E se questo è un rischio, ben venga il rischio. “Non so altro”, come diceva Paolo».

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