Sudan, addio a mons. Mazzolari

Il vescovo di Rumbek ha avuto il malore fatale durante la messa. La sua opera e l'indipendenza del Sud Sudan.

La povertà e la libertà

16/07/2011
Manifestazioni di giugilo in Sud sudan dopo ilreferendum che sancisce l'indipendenza.
Manifestazioni di giugilo in Sud sudan dopo ilreferendum che sancisce l'indipendenza.

«Chiediamo pace. Occorre affrontare il voto con serenità e responsabilità. Perciò domandiamo ai leader politici di evitare esasperazioni, tensioni e ostilità. Siamo nell'imminenza del referendum: dobbiamo affrontare pacificamente questi giorni cruciali per il futuro del nostro Paese, ma pensare anche al dopo: a mettere in pratica la volontà del popolo espressa col voto».

     Abbiamo incontrato monsignor Cesare Mazzolari a Rumbek, nella diocesi che guida come vescovo dal 1999, nel cuore del Sud Sudan. Missionario comboniano, Mazzolari è nel Paese africano da poco meno di trent'anni, esattamente dal 1981. Ora si trova a vivere, con gli altri otto vescovi della Chiesa cattolica sudanese, uno dei momenti più delicati nella storia di questo immenso Paese: il 9 gennaio la popolazione delle regioni meridionali andrà alle urne per decidere se rimanere unita al Nord del Paese, arabo e musulmano, oppure se avviare la secessione e fondare il Sudan del Sud quale 54° Stato indipendente dell'Africa.

     Il referendum è frutto degli accordi di pace del 2005, che hanno messo fine a una delle più cruente e sanguinose guerre del continente, costata tre milioni di vittime e durata 22 anni.

- Monsignore, la Chiesa è considerata molto schierata a favore della secessione.

     «Non è così. Noi cerchiamo solamente di accompagnare la nostra gente in questo passaggio delicato», dice monsignor Mazzolari. «Nel nostro recente documento, redatto in occasione dell'incontro dell'ultima Conferenza episcopale sudanese di novembre, abbiamo scritto che comunque vada il voto il Sudan non sarà più lo stesso. Che le cose stiano cambiando profondamente lo si è visto già con le elezioni dell'aprile scorso: il 90% della gente del Sud ha votato per l'Splm (Movimento per la liberazione del Sudan) che per più di 20 anni si è battuto per l'autodeterminazione; e il 25% dei voti è andato a candidati donna, sia al Nord che al Sud. Un fatto straordinario, segno di profondi mutamenti in atto».

- E dopo il voto? Uno dei problemi è la mancanza di una leadership all'altezza della situazione.

     «Dopo, il cammino sarà duro e faticoso, specie all'inizio. È vero che in diversi ambiti il Sud Sudan ha bisogno di costruire una classe dirigente, ma ci sono tanti giovani preparati che possono dare un importante contributo».

- Il vostro documento esprime preoccupazione per la gente e i cristiani del Sud che vivono al Nord. Quali sono i rischi?

     «Le Chiese nel Nord sono già state maltrattate e calpestate. Cosa accadrà in caso di vittoria della secessione? E che ne sarà dei tanti sudisti che vivono al Nord? Già ora ci sono forti restrizioni. Chi vorrà tornare potrà farlo? Ci stiamo preparando all'emergenza che potrebbe verificarsi. Speriamo che non vi siano rappresaglie e ritorsioni. Tra la gente del Sud c'è molta euforia, slancio emotivo. Attendono da decenni l'autodeterminazione, che significa la fine dell'oppressione, dello sfruttamento, della mancanza d'identità. Hanno subito una guerra disumana e l'imposizione di una legge che non fa parte della loro identità culturale».

- Che cosa chiedete alla comunità internazionale?

     «Di sorvegliare. Di essere presente. E di essere pronta all'emergenza del dopo voto: prevediamo un grande esodo».

- È vero che ci sono problemi di demarcazione del confine?

     «Il confine correrà in linea di massima lungo il 12° parallelo. La principale area contesa è la zona di Abiey. La gente di quella regione è chiamata a votare un proprio referendum, per stabilire se vorranno stare col Nord o col Sud».

- Quanto pesa la questione del petrolio?

     «Molto. Non stiamo dividendo popoli, stiamo dividendo un territorio, e anche le sue risorse. Il Nord perderà quasi tutti i giacimenti petroliferi più abbondanti, come pure le miniere di quarzo, marmo e altri minerali preziosi. Perderà il legname, l'agricoltura. Il Sud perderà la maggior parte dell'oro, che è a settentrione, come pure le infrastrutture. Entrambe le parti, in caso di secessione subiranno una prima fase di crisi economica. Ma la gente del Sud preferisce pagare il prezzo della povertà piuttosto che quello della libertà».

Luciano Scalettari

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