04/09/2012
Franco Monaco.
La storia, nemmeno quella della Chiesa, non si fa con i se. Ma molti si sono posti il quesito in queste ore. La Chiesa sarebbe cambiata se il cardinale Martini fosse divenuto Papa? "E’ difficile, forse impossibile rispondere a questa domanda", commenta Franco Monaco, già presidente dell'Azione cattolica milanese ai tempi di Martini arcivescovo di Milano, suo allievo spirituale e propugnatore delle scuole di politica, oggi senatore del Pd. "Si può invece fare memoria
di qual è la Chiesa che egli sognava. C’è un testo suo che porta
esattamente quel titolo, La Chiesa dei miei sogni".
Com'era la Chiesa che sognava?
"In sintesi una Chiesa
concentrata tutta sulla testimonianza e sull’annuncio della Parola che salva.
Una Chiesa libera, povera e sciolta, aggettivo piuttosto inusuale e invece
ricorrente a qualificare la Chiesa nel lessico del gesuita arcivescovo Carlo Maria Martini. Una Chiesa la cui azione non fosse
appesantita e la cui immagine appannata da un sovraccarico istituzionale. Una
Chiesa più collegiale e dunque aperta alla partecipazione responsabile del
popolo di Dio a cominciare dai laici cristiani. Una Chiesa non ossessionata
dalla preoccupazione di “contarsi per contare”, cioè di esercitare una
influenza sulla società e sulle istituzioni ma piuttosto di proclamare una
Parola profetica che non si confondesse con le troppe parole umane comprese
quelle della politica. Una Chiesa infine
dotata dell’umiltà e del coraggio di mettere a tema questioni spinose e controverse
abitualmente esorcizzate in quanto comporterebbero la revisione di posizioni
tradizionali e consolidate ma con le quali la Chiesa prima o poi in futuro non
potrà non fare i conti".
Quali sono le questioni spinose e controverse?
"Direi questioni ad intra che hanno a che fare con la vita
interna alla Chiesa e questioni che hanno a che fare con questioni di natura
etica. Ad intra, come ho detto, il tema della collegialità e della partecipazione. Poi quello
del discernimento circa il problematico rapporto tra le chiese locali e i nuovi
movimenti. Non è un mistero che su questo punto auspicasse da parte dei pastori
alla responsabilità di un’azione correttiva nei confronti dei movimenti. Vi è poi il tema dei separati e divorziati nella Chiesa e della condizione della donna
nella Chiesa, che non si può risolvere con la retorica sul genio femminile.
Anche la questione del celibato dei sacerdoti. Sul fronte delle questioni di
natura etica, il tema della sessualità, delle unioni civili, il tema che hanno
a che fare con il fine vita".
Qual era la sua opinione sui cosiddetti valori non negoziabili?
"Certamente sosteneva che ci sono valori non negoziabili per
la coscienza cristiana e che tuttavia il coerente ancoraggio ad essi non
esonerasse i laici cristiani dall’ esercizio della mediazione politica. Che si
concreta nell’ insediare tali principi dentro la vita concreta della polis,
specie nel contesto di società contrassegnata dal pluralismo delle concezioni
etiche e da ordinamenti democratici. C’è tutto il tema della distinzione di tre
livelli: i principi etici (che comprende le cose non negoziabili) i principi
costituzionali e la mediazione legislativa. Un approccio più raffinato e più
articolato, meno ingenuo e meno semplicistico. Più consapevole dellle
mediazioni necessarie. Ci sono delle riflessioni in cui egli distingue questi
tre livelli. L’operatore politico non può limitarsi a proclamare i principi".
Uno dei libri più belli di Martini è proprio l'ultimo, le Conversazioni notturne a Gerusalemme, in cui la notte "affina i sensi e la mente" e gli consente di esporre al gesuita padre Georg Sporschill con franchezza i suoi desideri più intensi per la Chiesa.
"E' vero. Nelle Conversazioni lui consegna forse il suo testamento spirituale. Il suo pensiero più franco, più libero, più confidenziale,
complice la conversazione notturna, sciolta, libera".
Martini fu il precursore delle scuole di politica per i cristiani.
"Ne avvertiva tutta l’importanza. Ma non
era esattamente la materia che più lo appassionava. Anche in ragione di quella
sua cura per la distinzione tra religione e politica e al conseguente
distinzione tra responsabilità in capo ai pastori e responsabilità in capo ai
laici cristiani. Era convinto che proprio dalla cura per tali distinzioni
potesse trarre vantaggio rispettivamente la libertà e l’universalità e la
missione della Chiesa, custode di una Parola che sfida e giudica la politica ma
la trascende. Sull’altro fronte l’attività politica e la vita delle
istituzioni che dovevano ispirarsi a una benintesa laicità".
Perché il cardinale piaceva al mondo laico?
"Intanto perché amava essere uomo tra gli uomini, soprattutto
negli ultimi tempi, quelli in cui ha condiviso la condizione della malattia e della
paura della morte. Trasmetteva il senso di una intima partecipazione alle gioie
e alle ansie anche ai drammi umani e sociali dei suoi contemporanei. Nessuno come lui ha mostrato come la Bibbia sia il
grande libro dell’umanità. La Scrittura custodisce la più universale delle
parole. La cui risonanza trascende i confini della comunità credente. C'è una terza
ragione. Era sintonizzato con la cultura contemporanea, sotto il profilo della
soggettività e della libertà della coscienza. Amava sostenere che in assenza di
una coscienza libera non si dà cristianesimo. Il cristianesimo nasce nella
libertà e si sviluppa solo nella libertà. E questo è molto in sintonia con la
cultura contemporanea. Questo rapporto con la coscienza libera è molto moderno.
Anche i laici sentivano che era interprete di un messaggio di libertà, non di
costrizione, non moralistico, non legalistico".
Francesco Anfossi