28/03/2013
Padre e figlio in fuga verso la salvezza in "La strada".
Un
altro capitolo di questa "storia" è quello costituito dai
libri-testimonianza nei quali i figli rimasti orfani del padre, colpito
da morte violenta, non possono fare a meno di tornare a lui, di
raccontarlo, di rievocarlo, di resuscitarlo attraverso la pagina. È il
caso di Mario Calabresi, figlio del celebre commissario (Spingendo la
notte più in là, Mondadori), di Benedetta Tobagi, figlia del giornalista
del Corriere della Sera (Come mi batte forte il tuo cuore, Einaudi), di Umberto Ambrosoli, figlio del
"banchiere onesto" (Qualunque cosa succeda, Sironi), di Eugenio Occorsio,
figlio del magistrato assassinato nel '76 (Non dimenticare, non odiare,
Dalai). La vita di un figlio non può dispiegarsi fino a che non ha
risolto la questione, finché non è venuta a patti con la memoria del padre. È come se nel figlio fosse conficcata una spina che lo costringe, quasi al di là della sua volontà, a risolvere "la faccenda". È come se avessero contratto un debito con il genitore, davanti alla società, che magari l'ha gettato nell'oblio, e finché non l'hanno estinto non avranno pace, non potranno definire la propria identità e trovare il proprio posto nel mondo. Bisogna elaborare il lutto.
La testimonianza più recente all'interno di questo filone è quella di Giovanni Tizian, figlio di Peppe, anch'egli, come Ambrosoli, banchiere onesto e perciò inconciliabile con la mafia della sua terra, la Calabria, che infatti se ne liberò a colpi di lupara nel 1989. Il ricordo del padre, in La nostra guerra non è mai finita (Mondadori), diventa spinta a un'indagine coraggiosa sulle infiltrazioni mafiose e della 'ndrangheta fra la Calabria e l'Emilia, dove il figlio era fuggito per dimenticare, scoprendo di non poterlo fare. Non solo per la presenza pervasiva e invasiva della criminalità organizzata, al Centro come al Nord e al Sud, ma per l'"ossessione" della figura paterna.
Paolo Perazzolo