08/09/2011
La regista Cristina Comencini spiega una scena alla Pandolfi e a Timi.
Anacronistico girare una storia d’amore
nel momento in cui sul grande
schermo imperversano avventure,
violenze, sesso ed effetti speciali in
3D. Non meno ardito, portare la pellicola in
concorso alla 68ª Mostra del cinema di Venezia
sfidando star a stelle e strisce come George
Clooney e William Friedkin, maestri della
cinepresa come Roman Polanski e David Cronenberg
più il solito manipolo di cineasti
asiatici sempre molto amati (e spesso premiati)
sulla Laguna.
Eppure, è ciò che ha fatto Cristina
Comencini con «Quando la notte», film
ispirato al suo omonimo romanzo centrato
solo su un uomo, una donna e un bambino.
«La realtà è che sono felice di essere nuovamente
a Venezia», dice sorridendo la regista.
«È vero, gareggiare ti mette addosso un po’ di
paura perché quando giri un film non ti rendi
ben conto di come sia il tuo lavoro e attendi
con ansia le prime reazioni del pubblico,
le recensioni dei critici. A me poi interessa
ogni giudizio, magari anche superficiale, perché
qualsiasi cosa serve per capire».
Claudia Pandolfi nel ruolo di Marina.
Il festival resta, comunque, un ottimo
trampolino di lancio per le sale...
«Questo sarebbe vero se il film uscisse subito,
invece arriverà nei cinema soltanto il 21
ottobre. A suscitare l’attenzione dei media
credo poi che sarebbero bastati i nomi dei
protagonisti, Filippo Timi e Claudia Pandolfi,
due dei nostri migliori giovani attori. Ce ne
sono tanti oggi in Italia, ci tengo a dirlo. Proprio
come Thomas Trabacchi e Michela Cescon,
che nel film impersonano due personaggi
di supporto ma comunque essenziali.
No, mi piace essere a Venezia al di là di qualsiasi
calcolo. Sono riconoscente alla Mostra».
Si riferisce alla bella accoglienza riservata
cinque anni fa a La bestia nel cuore?
«Film a cui tengo, tratto da un altro mio romanzo,
non facile essendo sul tema dell’incesto.
Giovanna Mezzogiorno vinse la Coppa
Volpi come migliore attrice e fu l’inizio di un
cammino fortunato, culminato nella candidatura
all’Oscar per il miglior film straniero.
Chissà che la Mostra non porti fortuna anche
a questa piccola, grande storia d’amore».
Fondamentale più che mai la bravura dei
protagonisti. Come è arrivata a sceglierli?
«Con un’infinità di provini. Manfred è una
guida alpina, un uomo solitario, chiuso nelle
sue lacerazioni: aspro, sprezzante. Filippo Timi
si è subito imposto in quel ruolo. Lo avevo
visto in Vincere! di Bellocchio e mi era piaciuto
per la fisicità e le fragilità. Marina è una
donna fantasiosa, giocosa, ma di fatto impreparata
alla maternità anche se ce la mette tutta.
La Pandolfi nella vita è una madre fantastica
ma con quel tocco di irregolarità, di imprevedibilità.
Col suo bambino si comporta
proprio come nel film. Ho preso due grandi
attori, con un’intesa istintiva tra loro: insieme
hanno fatto un provino straordinario».
Marina (Claudia Pandolfi) e Manfred (Filippo Timi) sui sentieri del Monte Rosa.
L’alchimia si coglie subito sullo schermo.
Marina incontra Manfred perché il pediatra
le suggerisce di portare il figlio, insonne, in
montagna e lei affitta per un mese l’appartamento
al primo piano della baita dove lui vive.
Passeggiate, sempre più impervie, in alta
montagna (siamo sul Monte Rosa). Silenzi.
Sguardi che s’incrociano. Parole mai buttate
al vento. Atteggiamenti che evolvono. Finché
un episodio farà comprendere a Manfred la
verità inconfessabile che lei ha nascosto a tutti.
E a Marina il motivo profondo che spinge
lui a odiare le donne. L’intenso rapporto durerà
però un mese. Le strade torneranno a separarsi,
anche se le loro vite non saranno più
uguali. Si ritroveranno dopo quindici anni,
con tutto ciò che era rimasto in sospeso.
«È la mia prima vera storia d’amore», sottolinea
la Comencini. «E il terzo protagonista è
la montagna con il silenzio che racchiude ed
esalta le emozioni, i pensieri. Non si girano
molti film in altitudine. Da Macugnaga, a volte
abbiamo dovuto prendere l’elicottero per
raggiungere luoghi spettacolari e impervi».
La Pandolfi con il bimbo.
Uno dei temi del film è la maternità. O,
meglio, il lato oscuro dell’essere madre...
«Ci son cose della maternità che non si confessano.
Ma al di là della visione edulcorata
che siamo abituati a dare, sta di fatto che madri
non si nasce ma si diventa. Per una donna
si tratta di una crescita difficile che, spesso,
vuol dire anche saper rinunciare».
Altro tema forte è la presenza dell’uomo...
«Elemento indispensabile. Si parla sempre
della maternità come se l’uomo non ci fosse
dentro a questo miracolo. Invece, da un punto
di vista simbolico, il bambino è frutto di
un’unione, dell’amore e del reciproco desiderio
tra due esseri. La mia è una storia di sentimenti
ancestrali tra bimbo, uomo e donna».
Il film suggerisce altre suggestioni. Il rifugio
alpino come stalla? I tre personaggi come
la Sacra Famiglia? È il suo presepe laico?
«Non osavo pronunciare queste parole con
Famiglia Cristiana, ma mi fa piacere che lo dica
lei. La famiglia è quella che si costruisce
sull’amore e non, necessariamente, sui legami
di sangue. Per chi crede, Gesù è figlio di
Dio per intercessione dello Spirito Santo. E a
Giuseppe basta sapere questo per amare
quel bambino come figlio suo. E per amare
Maria. È ora di riportare la figura di Giuseppe
al centro del presepe. E credo proprio che
sia ora di farlo anche nella vita reale».
La scrittrice e regista Cristina Comencini sul ghiacciaio del Monte Rosa.
FIGLIA D’ARTE, SÌ, MA NON SOLO
Qualcuno sostiene che era
scritto che finisse dietro la
cinepresa, dato che è figlia
del grande Luigi Comencini
(Pane amore e fantasia,
Tutti a casa, Pinocchio) e
che le sorelle lavorano
tutte nel cinema:
Francesca è anche lei
regista, Paola scenografa
ed Eleonora fa il direttore
di produzione. Ma Cristina
Comencini è prima di tutto
scrittrice: «Non potrei mai
rinunciare alla scrittura»,
afferma con forza, «anche
se poi mi viene naturale
raccontare per immagini».
Il primo film, Zoo, risale al
1988. Il suo primo successo
vero è di otto anni dopo:
Va’ dove ti porta il cuore,
ricavato dal best seller di
Susanna Tamaro. Da allora
cuore, amore, sentimenti e
tormenti familiari sono
sempre più scrutati dal suo
obiettivo. Storie magari
aspre ma con un anelito di
speranza: Il più bel giorno
della mia vita, La bestia
nel cuore, Bianco e nero.
Quando la notte è il suo
decimo film a cui, questa
elegante signora di 55 anni,
può aggiungere 8 libri di
successo, 3 figli e 5 nipoti.
Non paga, con tante altre
esponenti del mondo della
cultura e dello spettacolo
ha promosso l’iniziativa “Se
non ora quando”: «Noi
donne dobbiamo farci
sempre più partecipi della
società», dice. «Solo così
potremo migliorarla».
Maurizio Turrioni