Venezia, la donna venuta dal mare

"Terraferma" di Crialese è tra i film più attesi alla Mostra di Venezia. Nel cast una ragazza africana scampata alla morte e sbarcata a Lampedusa. Obiettivo puntato su chi accoglie.

02/09/2011
Il regista Emanuele Crialese, premiato nel 2006 a Venezia per il film "Nuovomondo".
Il regista Emanuele Crialese, premiato nel 2006 a Venezia per il film "Nuovomondo".

Lui stesso sa che non potrà andare sempre bene. Emanuele Crialese, 46 anni, romano di famiglia siciliana, si è laureato in regia alla New York University e al suo film d’esordio, Once we were strangers, è stato notato da Robert Redford che lo ha voluto al Sundance Film Festival. Respiro, la sua opera seconda, ha vinto nel 2002 al Festival di Cannes il premio della Semaine de la Critique, prestigiosa sezione parallela.

Così quando Crialese, nel 2006, ha portato alla Mostra di Venezia Nuovomondo, c’era chi lo aspettava al varco con i fucili puntati. Risultato? Applausi scroscianti del pubblico, critica incantata e giuria (presieduta dalla pavida Catherine Deneuve) che si è inventata un inedito Leone d’argento “rivelazione” pur di premiare il film più emozionante della rassegna (certo migliore di Still life, Leone d’oro cinese scivolato rapidamente nel dimenticatoio).

Una suggestiva immagine del film "Terraferma" in concorso alla 68a Mostra di Venezia.
Una suggestiva immagine del film "Terraferma" in concorso alla 68a Mostra di Venezia.


E ora, Crialese? Perché porta Terraferma in gara alla 68ª Mostra di Venezia? Per lei o sarà Leone d’oro o una bruciante sconfitta...

«Credo nell’importanza dei festival come vetrina. La mia carriera sta lì a dimostrarlo. Sono passato da un ristorantino italiano a New York, dove lavoravo per pagarmi gli studi e che mi è servito da ispirazione per l’esordio dietro la cinepresa, alle spiagge di Lampedusa, dove ho filmato Respiro. Dai lustrini di Cannes ai pontili di Ellis Island, “porta” per gli Stati Uniti ma anche forca caudina per milioni di emigranti, come ho narrato in Nuovomondo. Da lì sono rimbalzato al Lido di Venezia e poi a Linosa, dove ho girato Terraferma. L’amore per il mare e i festival ha segnato la mia vita. Non potevo rifiutare l’invito della Mostra. Ne sono anzi orgoglioso perché, al di là dei premi, sono altre le cose che contano».

A che cosa si riferisce?
«Trovo aberrante il modo in cui i media minimizzano la tragedia dell’immigrazione dall’Africa verso le nostre coste. Altro che mafia! Quella che si consuma nelle acque di Sicilia è una strage. La più sanguinosa dalla fine della guerra mondiale. Guardo i Tg, sfoglio i giornali e leggo le parole pronunciate da certi politici: rifugiato, immigrato, clandestino. Ma cosa significano? Dietro le etichette ci sono persone vere, in fuga da fame e guerre per un migliore avvenire. Per sé e per i figli».

Un'altra foto di scena del film ''Terraferma'' di Emanuele Crialese.
Un'altra foto di scena del film ''Terraferma'' di Emanuele Crialese.


È un’amara riflessione che tormenta le coscienze di tanti italiani...

«A folgorare la mia è stata una foto. Tornato a Lampedusa (la amo, faccio il subacqueo) mi ha colpito il mutamento: da scoglio incontaminato a vera e propria terra di frontiera. Marinai, poliziotti, recinzioni. Sul giornale, ho visto poi la foto di una giovane donna: Timnit. Lei ed altri quattro, soli sopravvissuti sul gommone che per tre settimane era andato alla deriva nel Mediterraneo. In 73 le erano morti attorno. Atroce. Il suo viso era stravolto dagli stenti, dal sole, dalla sete eppure i suoi occhi splendevano di voglia di vivere». Terraferma (in sala dal 7 settembre dopo la vetrina veneziana) non ripercorre la vicenda di Timnit, usa il suo volto per narrare una storia. Quella di una donna africana incinta salvata da due pescatori, il vecchio Ernesto e il ventenne Filippo, nonno e nipote, che la strappano ai marosi. È la misericordiosa legge del mare. Ma quella, stupida, degli uomini sequestra il loro peschereccio per “favoreggiamento all’immigrazione clandestina”. È la goccia che fa traboccare il vaso dei rapporti familiari. Nino, zio di Filippo, preferisce i turisti ai pesci. E Giulietta, mamma vedova senza neanche avere un corpo su cui piangere, vuol fuggire dall’isola maledetta. Agogna un futuro per il figlio Filippo, sogna la Terraferma. Proprio come la ragazza africana che, in garage, sta per dare alla luce una bimba... Immagini splendide mescolate alle emozioni del cast: Donatella Finocchiaro, Filippo Pucillo, Mimmo Cuticchio, Beppe Fiorello, Claudio Santamaria. E, naturalmente, Timnit.

Crialese, com’è andata sul set?
Ha provato pudore nel chiedere a Timnit di rivisitare quella tragedia vissuta sulla propria pelle? «L’accordo era che non avrebbe fatto ciò che non voleva o modificato ciò che sentiva diversamente. Tutto bene fino alla fine. Un giorno giravamo una scena forte: Timnit recitava rivolta alla cinepresa e Donatella, dietro me, le dava le battute. A un certo punto, gli sguardi s’incrociano e il volto di Timnit si scioglie in lacrime. Mi giro verso Donatella e scopro che anche lei piange. Non era previsto. La butto in scena, continuo a filmare. Un momento di verità che vale l’intero film. La speranza di un mondo migliore sta tutta nelle donne».

L’intenso primo piano di Timnit T., 29 anni, giunta a Lampedusa su un barcone con altri 4 sopravvissuti e 73 profughi morti.
L’intenso primo piano di Timnit T., 29 anni, giunta a Lampedusa su un barcone con altri 4 sopravvissuti e 73 profughi morti.


QUANDO SI DICE, NATA DUE VOLTE

Nei titoli di coda del film, così come sulla locandina, compare solo con l’iniziale del suo cognome: Timnit T. I suoi parenti sono ancora in Africa, meglio evitare complicazioni o ritorsioni. «Nella scena in cui indica sul mappamondo a Filippo e Giulietta da dove viene», racconta Crialese, «non se l’è sentita di mettere il dito sulla sua terra. Ha indicato l’Etiopia. Non ho insistito».

Anche se oggi Timnit vive in Olanda, studia lingue, ha un compagno e aspetta un bambino, troppo forte è il ricordo del dramma da lei vissuto giusto due anni fa. Sedici mesi per traversare il Sahara, poi l’imbarco in Libia; 78 su un gommone nero da dodici metri: etiopi, eritrei, nigeriani. Il secondo giorno la benzina finisce.

Per tre settimane vanno alla deriva, in balìa delle correnti. I 350 chilometri (circa 217 miglia marine) che separano Lampedusa dalla Libia diventano sepoltura pietosa per 73 sventurati. Il primo a morire è Haddish, vent’anni. Poi quelli che han bevuto acqua di mare. Altri si spengono lentamente. I marinai della motovedetta troveranno vivi solo Timnit e altri quattro. Al porto, poi, la foto di quegli occhi, così “famelici” di vita.

Maurizio Turrioni
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