07/09/2011
George Clooney-
Dopo il giro di boa, la 68° edizione della Mostra del cinema di Venezia si sta avviando alla conclusione lasciando, nel pubblico e negli addetti ai lavori , una impressione molto più positiva di quanto non ci si aspettasse. Malgrado infatti i cronici disservizi logistici, l'insufficienza del budget, l'inadeguatezza di una classe politica più interessata al red carpet che a sostenere un vero progetto culturale, il direttore Marco Mueller e i suoi collaboratori sono riusciti in un mezzo miracolo.
Non ci riferiamo tanto al glamour e ai lustrini garantiti dalla presenza di star in grande spolvero (Al Pacino, Madonna, Monica Bellucci, Matt Damon, Gwyneth Paltrow, James Franco, Viggo Mortensen, Keira Knightley, Rutger Hauer) quanto alla solidità e spettacolarità di parecchie pellicole in gara per il Leone d'oro.
Si è cominciato subito bene con Le idi di marzo di George Clooney. Atteso al varco da uno stuolo di paparazzi e di gossippari a causa della recente e chiacchierata rottura con Elisabetta Canalis, il bel George ha saputo tirar dritto e conquistare critici e spettatori con un dramma socio-politico tanto attuale quanto scomodo perfino per i Democratici statunitensi, partito di cui è da sempre sincero sostenitore. In un crescente turbinio di episodi, scontri personali e mediazioni al ribasso, il film (che uscirà nelle sale italiane a gennaio) racconta la discesa agli inferi di un giovane addetto stampa (il bravissimo Ryan Gosling) durante le primarie del Partito Democratico nello stato dell'Ohio, tanto immaginarie quanto del tutto credibili.
Il suo candidato progressista (lo stesso Clooney in un ruolo ambiguo) riuscirà infatti a deluderlo profondamente gettando la maschera. Senza che l'avversario riesca però a dimostrarsi migliore. E mentre uno stuolo di collaboratori e galoppini (interpretati magistralmente da Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood) commetterà le azioni più turpi, trucchi, menzogne e tradimenti costringendolo ad aprire gli occhi. E' è la politica bellezza! Clooney riesce a farci appassionare al chiacchiericcio scomposto e diabolico dei suoi personaggi, al loro cinismo, per poi lasciarci l'amaro in bocca con una domanda sottintesa: in Italia, dove i politici compiono ben altre nefandezze, un film del genere sarebbe possibile?
Gary Oldman.
Caccia al traditore
Altri applausi convinti per La talpa (titolo originale del celebre
romanzo di John Le Carré da cui è tratto, Tinker, Taylor, Soldier, Spy)
che il regista svedese Tomas Alfredson riporta sullo schermo con un
rigore stilistico e un'asciuttezza che rievocano perfettamente clima e
costumi della Guerra Fredda negli anni '70. Nei panni del super agente
britannico Smiley, un tempo indossati dal grande Alec Guinness, fa un
figurone Gary Oldman ben coadiuvato nell'intreccio da attori del calibro
di Colin Firth e John Hurt.
Altro che James Bond: questa storia
d'azione, senza mirabolanti effetti speciali e dal ritmo inusualmente
lento, inchioda lo spettatore alla poltrona in attesa di scoprirne
l'esito. E lo affascina con la sottile nostalgia per un'epoca che
davvero non esiste più: terribile e inquietante, certo, ma allora
perfino le cose più malvage parevano comunque rispondere a una
qualsivoglia “moralità”. Un mondo in cui gli agenti segreti al servizio
di Sua Maestà (e con loro tutti gli altri, nostri compresi) erano
persone consacrate al lavoro, solitarie, prive di affetti, soprattutto
capaci di sopportare l'alienazione del male da fare e magari da subire
in nome di un qualche ideale. E non solo per sporchi interessi, come
oggi.
Jodie Foster in "Carnege" di Roman Polanski.
La carneficina di Roman Polanski
Ancora più su nella scala dell'applausometro si è piazzato
Roman Polanski con il suo Carnage (letteralmente Carneficina, nei cinema
dal 16 settembre), ispirato al fortunato testo teatrale di Yasmina
Reza. Il titolo non tragga in inganno: tutto si svolge nella quiete
delle mura domestiche in cui s'incontrano, per discutere dei loro figli
undicenni che se le sono date di santa ragione, due coppie di genitori
borghesi e all'apparenza perbene. Gli iniziali convenevoli scherzosi si
trasformano presto in battute al vetriolo, che a loro volta sfociano in
un crescendo di rivelazioni sulle ridicole contraddizioni e i grotteschi
pregiudizi dei quattro genitori. E nessun adulto sfuggirà al
conseguente massacro verbale.
Ritratto impietoso dei limiti della
cosiddetta società civilizzata che il regista (premio Oscar per Il
pianista) rende appassionante grazie alla bravura degli interpreti:
Jodie Foster, Kate Winslet, John C. Reilly e quel Christoph Waltz
scoperto da Quentin Tarantino col suo Bastardi senza gloria. Raramente
si è visto un film tanto efficace nel sedurre chi guarda per poi farlo
riflettere su quanto sia difficile la reale accettazione dell' ”altro”.
Una scena di "Terraferma" di Emanuele Crialese.
E in tema di accoglienza del diverso, una convinta ovazione è
quella che ha salutato la presentazione alla stampa di Terraferma del
nostro Emanuele Crialese (film già nelle sale e che vi raccomandiamo
caldamente di andare a vedere). Ci volevano il suo raffinato gusto
visivo, il suo stile realistico e allo stesso tempo sospeso nel limbo
della fiaba, la sua vibrante sensibilità per fare di una piccola storia
di immigrazione un toccante apologo. Al centro della vicenda non tanto i
poveri derelitti che approdano a Lampedusa (ma il film è stato girato a
Linosa) a bordo del solito gommone carico di disperazione, piuttosto
quei poveracci che campano a malapena di pesca e turismo e che se li
trovano catapultati nella loro esistenza. Il giovane Filippo e il nonno
Ernesto aiutano i naufraghi ma si vedono sequestrare il peschereccio in
base al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
E la
legge del mare che impone l'aiuto? E la cristiana accoglienza? Per
Giulietta, mamma di Filippo e già vedova per colpa del mare, è troppo.
E' lei che vuole scappare via dall'isola e da quella vita maledetta...
E' lei che sogna un'altra esistenza per quel figlio che è la sola cosa
rimastale... Come può non capire, allora, la muta e disperata richiesta
d'aiuto di Sara, nascosta nel garage di casa sua? La sua pelle è nera,
ma si porta appresso un bimbetto spaurito e in grembo una nuova vita
sperando anche lei in un futuro migliore. Gli occhi si cercano, con gli
sguardi delle due donne arrivano a comprendersi. Lieto fine? Forse.
Oppure no. Spetta soltanto a chi guarda decidere.
“Il mio film è dalla
parte di tutti gli immigrati”, ha detto Crialese. “Mi chiedo come si
possa oggi negare agli africani o ad altri il diritto di cercare di
sfuggire alla fame, alla miseria, alla guerra, alla sventura. Come un
tempo facemmo noi e tanti altri popoli. E' l'intreccio di civiltà
diverse che consente l'evolversi della civiltà stessa”. Applausi
convinti a lui e ai bravi interpreti presenti: Filippo Pucillo,
Donatella Finocchiaro, Giuseppe Fiorello, Mimmo Cuticchio. E all'eritrea
Timnit T., unica assente perché bloccata in Olanda (dove oggi risiede
col marito) dal parto imminente del primo figlio: a ispirare il copione a
Crialese è stata lei, trovata viva con altri quattro su un gommone per
settimane alla deriva nel Mediterraneo. Viva in mezzo a una settantina
di cadaveri. Era l'agosto di due anni fa. In fondo, una vita fa.
Ermanno Olmi.
L'apologo cristiano di Ermanno Olmi
E
proprio ieri, in tema di accoglienza, ha detto magistralmente la sua il
maestro Ermanno Olmi. Vero che Il villaggio di cartone, essendo fuori
concorso, non potrà ambire al Leone d'oro ma il film ha lasciato un
segno indelebile sulla Mostra. Suggestive e toccanti le sequenze
iniziali in cui vediamo la grande chiesa spogliata pian piano del
crocifisso, degli antichi quadri, dei paramenti sacri, delle statue
estatiche, dei grandi candelabri. Fino a rimanere vuota, in disarmo per
mancanza di fedeli. Proprio come il suo vecchio parroco (il sublime
Michael Lonsdale), messo da parte dalle alte gerarchie.
Quando lo
sconforto monta e tutto sembra perduto, ecco che un gruppo di
clandestini cerca rifugio tra quelle mura spoglie eppure ancora pregne
di sacralità. Saranno quei poveri cristi in carne e ossa a restituire al
vecchio prete e al suo sacrestano (Rutger Hauer, già Santo Bevitore
sempre per Olmi e replicante in Blade Runner per Ridley Scott) il senso
più profondo del messaggio cristiano. “Occorre che noi cattolici ci
ricordiamo più spesso di essere cristiani”, ha detto Olmi.
“L'accoglienza è il vero simbolo, senza di essa la croce non basta”.
Applausi, stavolta commossi. Il Leone d'oro del cuore è senz'altro suo.
Maurizio Turrioni