Cinema: Cannes secondo noi

Il Palmarès di Famiglia Cristiana. Prima che la giuria ufficiale si pronunci (il 26 maggio alle 20). E anche dopo: per verificare se si è stati buoni profeti o se i gusti divergono.

E la Palma d'Oro, per Famiglia Cristiana, spetta a Le Passé dell'iraniano Farhadi

26/05/2013
Una scena del film iraniano "Le passé"
Una scena del film iraniano "Le passé"

Più di tutti, è piaciuto Le passé del regista iraniano Asghar Farhadi, per l'occasione trasferitosi a girare in Francia (ragion per cui il film batte bandiera transalpina). Farhadi ci sa fare con i legami ingarbugliati degli affetti familiari e delle passioni sentimentali, non per nulla un paio d'anni fa ha vinto l'Oscar per il miglior film straniero con Una separazione. Anche al centro della nuova storia c'è un divorzio da sancire, quello tra la volitiva Marie (madre di due figlie ma anche con un terzo ragazzino per casa, figlio del suo nuovo compagno Samir) e l'iraniano Ahmad, che si era stabilito a vivere con lei a Parigi ma poi era dovuto, o voluto, rientrare a Teheran. Sono quattro anni che i coniugi non si vedono ed è ora di firmare le carte. La straordinaria sensibilità del regista fa sì che sullo schermo non si assista alla solita sarabanda di urla e litigi, ma si racconti la quotidianità di due persone che comunque continuano a stimarsi e che cercano di risolvere meglio possibile la dolorosa situazione. Meglio possibile soprattutto per i ragazzi, che vivono tutti insieme nella casetta di periferia di Marie con il rabberciato giardino per i più piccoli e tanti lavoretti di manutenzione da fare all'interno.

E' con pudore, perfino con riluttante delicatezza, che Ahmad (l'intenso attore iraniano Ali Mosaffa) si intromette nella vita quotidiana della famigliola. Non per seminare zizzania, malgrado l'iniziale diffidenza di Samir (il bravissimo Tahar Rahim scoperto proprio da Cannes qualche hanno fa col film Un profeta). Il fatto è che la figlia più grande, Lucie, non ne vuol proprio sapere di accettare il nuovo compagno della madre. Gelosia? Timore di violenze? Ahmad scava dolcemente nel passato, in quegli anni in cui lui non c'era e scopre pian piano molto di più. Un intrigo di piccoli gesti, menzogne, involontarie cattiverie capace di far male, a turno, a tutti i protagonisti. La scoperta che lacera il precario equilibrio dei personaggi è che Samir una moglie ancora ce l'avrebbe: la madre del piccolo Fouad, che gira ribelle per casa. Solo che lei ha tentato il suicidio e giace in coma all'ospedale. Perché l'amore può anche far male. E la mancanza di un padre, così come il bisogno di una madre, possono segnare profondamente l'animo di chi è ancora adolescente. E' una spirale di affetti e di complicazioni, quella in cui Farhadi tuffa lo spettatore. Si resta dolcemente invischiati. Impossibile non parteggiare per la vitale Marie, che di giorno fa la farmacista e poi a casa fa mille mestieri per tenere assieme la sua famiglia sgangherata. Anche perché Marie ha il volto bellissimo e intenso di Bérénice Bejo, l'attrice francese coprotagonista del film Oscar (muto) The artist. Farhadi non spara sentenze, non giudica da dietro la cinepresa. Si limita a suggerire che in un momento difficile, qual è sempre un divorzio, tutti possono avere le proprie ragioni ma devono poi sapersi spartire anche le colpe.


Farhadi filma un thriller del cuore, elegante e struggente come solo le piccole storie ben raccontate sanno essere. E se nessuno si salva è perché dietro l'errore di ognuno c'è il precedente dolore arrecato da un altro. E ciò vale anche per l'ignaro Ahmad. Film bellissimo, a cui si ripensa uscendo dal cinema con una punta di dolore, che gli spettatori italiani dovranno però attendere con pazienza, perché la Bim (che è pure coproduttrice) lo distribuirà nella prossima stagione anche nel caso che figuri nel Palmarès. Per noi, è la Palma d'Oro di quest'anno. “La verità non è qualcosa che si possa fissare nel tempo o nello spazio. E' fluttuante e le relazioni umane, in linea generale, sono fatte di sentimenti contraddittori”, spiega Farhadi, a 41 anni uno dei maggiori cineasti iraniani accanto ad Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf e Jafar Panahi. “Ciò che ci fa invecchiare non è il tempo che passa bensì il passato che prende via via più spazio nella nostra vita. D'altronde, solo i bambini sanno vivere il presente. E gli adulti filtrano il passato attraverso nostalgie o sensi di colpa. Ecco perché gli esseri umani hanno sempre la tentazione di predire l'avvenire e di riscrivere il passato”.

Maurizio Turrioni
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