Cinema: Cannes secondo noi

Il Palmarès di Famiglia Cristiana. Prima che la giuria ufficiale si pronunci (il 26 maggio alle 20). E anche dopo: per verificare se si è stati buoni profeti o se i gusti divergono.

Il Premio della (nostra) giuria va a Nebraska

26/05/2013
Una scena del film "Nebraska" di Alexander Payne.
Una scena del film "Nebraska" di Alexander Payne.

Al nuovo lavoro di Alexander Payne, il regista americano più cool del momento (suoi About Schmidt con Jack Nicholson, Sideways con Paul Giamatti, Paradiso amaro con George Clooney) noi assegniamo il Prix du Jury, vale a dire la medaglia di bronzo di Cannes. Girata in un ardito bianco e nero dai toni polverosi, questa storia incrocia il classico road-movie attraverso la sperduta provincia americana col più antico dei momenti drammaturgici: lo scontro e poi l'incontro tra padre e figlio. Solo che Payne lo fa con sguardo obliquo, quasi casuale, soprattutto senza dialoghi pretenziosi. Quella che scorre davanti alla cinepresa è la pura quotidianità del quarantenne David (Will Forte), sbiadito commesso in un negozio di elettronica, alle prese con le mattane senili del padre Woody (magistralmente interpretato da Bruce Dern, 76 anni, papà dell'attrice Laura Dern, quella di Jurassic Park).


Il vecchio, capelli bianchi scompigliati e barba incolta, sembra non starci più con la testa: se ne va continuamente di casa avviandosi a piedi lungo autostrade finché la polizia o il figlio stesso non lo trovano e riportano a casa. Kate, l'anziana mamma di David, dice che forse sarebbe meglio internarlo in una casa di riposo. Ma il figlio non se la sente, anche se quel padre, egoista e ubriacone, non è che sia stato mai un granché come genitore. Alla fine riesce a capire il perché di quella fissazione: Woody ha ricevuto tempo addietro una missiva pubblicitaria in cui gli si annunciava la vincita di un milione di dollari! E lui, anche se nessuno lo prende sul serio, vuole andare in Nebraska per ritirare quella somma... David tenta inutilmente di spiegargli che si tratta di un trucco. E quando l'esasperazione in famiglia pare ormai al livello di guardia, si decide e carica il padre in auto per fargli fare questo benedetto viaggio. Davanti al parabrezza scorre l'America più povera e rurale. Padre e figlio parlano con frasi smozzicate, dialoghi monchi, borbottii, lunghi silenzi. Eppure, pian piano cominciano a intendersi, a essere meno diffidenti. Al culmine di una serie di contrattempi, si vedranno costretti a pernottare nella cittadina natale di Woody, dove non metteva piede da decenni.

I familiari sembrano affettuosi, le vecchie conoscenze incuriosite da quel ritorno. Ma non appena si sparge la voce che Woody avrebbe vinto un milione di dollari, le cose cambiano. Tornano a galla antichi dissapori, presunti debiti, strani legami. E mentre il vecchio si vedrà tornare davanti il passato, il figlio scoprirà piano piano chi fosse stato un tempo Woody, quali sogni avesse, di che pasta buona fosse fatto. “Volevo un film che respirasse l'aria degli anni '60 e ritrovasse i contenuti degli anni '70. Ecco motivate le scelte del bianco e nero e del road-movie”, spiega il regista, 52 anni portati con eleganza. Nebraska è al tempo stesso un viaggio e un film fermo, ossia ben radicato nelle crepe del cuore di una tipica famiglia della middle class americana”. Coerente, intimista, capace di mixare toni agrodolci e corrosivi nel descrivere lo spirito più profondo dell'America, Alexander Payne ha il dono di raccontare con grazia. Riesce a far capire allo spettatore più cose del suo Paese e dell'animo umano di certi cineasti calligrafici o documentaristi pretenziosi. La sua finzione è più reale del vero.

In Italia, Nebraska uscirà in autunno. Negli Usa a novembre, puntando agli Oscar. “Questo film è fortemente radicato nel mio Paese e tutti i suoi personaggi sono al tempo stesso osservatori della vita e protagonisti”, aggiunge Payne. “Nella misura in cui ci si possa sentire protagonisti di esistenze così anonime da essere ineluttabilmente autentiche”.

Maurizio Turrioni
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