08/09/2012
Il regista coreano Kim Ki-duc (Ansa).
C'è stato
un momento davvero divertente, durante la cerimonia di premiazione di Venezia
69: quando Laetitia Casta, impacciata ma sorridente, si è alzata dalla
tribunetta della giuria per dire che erano stati scambiati due riconoscimenti.
Trambusto, risate. Poi il tedesco Ulrich Seidl se ne è tornato in platea col
Premio Speciale per il suo Paradies: glaube (troppo per un film
sull'ossessione religiosa volgarmente provocatorio, nella cui scena forte la
protagonista si masturba con un crocifisso) mentre l'americano Philip Seymour
Hoffman stringeva giustamente in mano il Leone d'argento per la regia assegnato
a Paul Thomas Anderson per The Master.
Il secondo alloro per questo bel
film dopo la Coppa Volpi per le interpretazioni maschili assegnata ex-aequo ai
due protagonisti: lo stesso Hoffman e Joaquin Phoenix. Contenti gli italiani
per i due premi minori inaspettatamente portati a casa dal film E' stato il
figlio: miglior contributo tecnico per la fotografia a Daniele Ciprì e
miglior attore emergente a Fabrizio Falco. Accettabili perfino la Coppa Volpi
della miglior attrice all'israeliana Hadas Yaron per Fill the void (storia
delicata sull'integralismo ebraico) e
l'Osella per la sceneggiatura al francese Olivier Assayas per Après mai (rivisitazione
nostalgico-amara del '68). Impossibile digerire, invece, il Leone d'oro a Pietà
del coreano Kim Ki-duc. La solita snobistica bizzarria da giuria
festivaliera. Possiamo sbagliarci, naturalmente: provate a vederlo. Se ci
riuscite.
Maurizio Turrioni