14/07/2011
Tale analisi complessiva ed unitaria a me non è nota, tuttavia alcuni
interventi ritengo che siano in ogni caso ragionevoli:
1) Le Province
devono essere eliminate
e numerosi Enti potrebbero essere
accorpati. Più o meno tutti
condividono tali interventi ma, concretamente, nulla è stato definito; si è
assistito solo a qualche timido tentativo. Su molte tematiche le competenze istituzionali sono in parte
sovrapposte e qualche volta addirittura coincidenti. La mia esperienza diretta,
la più recente, è nel campo ambientale, dove ho potuto constatare che la
realizzazione di complesse e sofisticate opere di ingegneria risultava più
semplice dell’acquisizione dei pareri e delle autorizzazioni necessarie per
eseguirle: una lunga lista di indirizzi (con il concreto rischio di
dimenticarne qualcuno)!
Deve essere chiaro al riguardo che tali
eliminazioni e accorpamenti non devono comportare il licenziamento dei
dipendenti o il loro trasferimento territoriale, bensì la valorizzazione
e l’ottimizzazione del loro impiego. D’altronde Regioni e Comuni spesso
lamentano “carenze” di personale e competenze per l’acquisizione delle
quali, frequentemente (troppo frequentemente), ricorrono a supporti e
consulenze esterne. Con tali interventi, oltre che eliminare numerose
“poltrone”, si perverrebbe ad uno snellimento delle procedure
burocratiche con evidenti benefici per la produttività delle imprese e
per i cittadini in genere.
2) Il
Premier ha più volte parlato dell’esigenza di una riduzione dei parlamentari,
oggi in numero assolute incongruo, sia a livello nazionale che regionali e
comunali, se rapportato al numero degli abitanti e confrontato con quello degli
altri paesi europei. Sul sito della camera è visibile la retribuzione dei
parlamentari: risulta più o meno chiaro quanto “guadagnano” ma non è
altrettanto chiaro quanto “ci costano”.
Son presenti stipendi, indennità, vitalizi, diarie e “rimborsi per spese inerenti al rapporto tra
eletto ed elettori”, alquanto inverosimili visto che l’attuale legge
elettorale non consente agli elettori di scegliere chi votare e non comporta
alcun rapporto tra eletto ed elettore. A questi bisogna aggiungere ulteriori
rimborsi per spese telefoniche, viaggi ecc. oltre ai costi non computati, ma
consistenti, della logistica (uffici, locali, segreterie, ecc. ). Non è
trasparente! Uno stipendio di 10 mila euro netti al mese omnicomprensivo,
con al massimo un’agevolazione sui trasporti, apparirebbe più che congruo e pur
sempre al di sopra della media europea.
3) E
sugli stipendi mi vorrei soffermare. In primo luogo giudico moralmente
scorretto che uomini dello Stato, pagati dai cittadini ed a servizio degli
stessi, cumulino stipendi e pensioni. Ma se è giusto che al cittadino comune
non sia, in genere, consentito di svolgere il doppio lavoro può mai ritenersi
giusto che ai suoi Amministratori venga elargito addirittura il doppio
stipendio? (nella migliore delle ipotesi,e con un solo lavoro!). Non so quanto
questo incida sul bilancio dello Stato, spero poco perché mi auguro che pochi
siano coloro che fruiscono di tali privilegi ma, in ogni caso, non è certo un
bell’esempio.
In secondo luogo ritengo debba essere stabilito un tetto massimo
agli stipendi dei manager pubblici: 250 mila euro lordi l’anno, omnicomprensivo
di benefit vari, mi sembrano più che congrui. Conosco già le critiche a tale
mia asserzione ed afferiscono a concetti di “elevata professionalità” e “grandi
responsabilità”, accompagnate da affermazioni del tipo “se ne andrebbero tutti i migliori” (non
altrettanta preoccupazione suscita, mi sembra, l’evenienza che ad andarsene
oggi siano i nostri migliori giovani).
In merito all’elevata professionalità mi domando: può mai ragionevolmente
ritenersi che un “manager” sia più bravo del più bravo dei suoi funzionari di oltre 10 volte? Riguardo le grandi responsabilità riconosco che
sussistono. Quando si gestiscono i soldi sudati dai cittadini, quando si amministrano
Enti ed aziende dove lavorano migliaia di lavoratori si hanno grandi
responsabilità; ma a tali responsabilità, nel pubblico, non corrispondono
altrettanti “rischi”. Conosco molti
imprenditori, medio – piccoli per lo più, che corrono il rischio di fallire, di
perdere i loro soldi ed i loro beni e finire sul lastrico insieme ai loro
impiegati. E conosco manager di aziende pubbliche, che hanno portato le aziende
al fallimento, mettendo in gravi difficoltà centinaia di lavoratori, e tuttavia
se ne sono tranquillamente tornati a casa con liquidazioni favolose e pensioni
più che agiate. Se questi erano i migliori…
(2. continua)
Roberto Jucci