10/05/2010
Lo Shuttle Discovery fotografato dalla stazione orbitale.
Lungo e travagliato il cammino della Stazione Spaziale Internazionale. All’inizio degli anni '80 la Nasa aveva proposto di realizzare un grande laboratorio orbitale in risposta ai russi Salyut e Mir. C’era ancora la Guerra Fredda, Ronald Reagan chiamava apertamente l’Unione Sovietica “Impero del male” e alla futura stazione a stelle e strisce fu dato il nome “Freedom”, cioè “Libertà”.
Già allora, però, l’agenzia spaziale americana si trovava in cattive acque, alle prese con i costi imprevisti dello Shuttle. Il problemi di budget portarono dapprima a una serie di consistenti tagli al progetto (circolava una battuta: persino il nome da Freedom sarebbe stato ridotto a “Fred”), quindi al suo accantonamento.
Tutto cambiò con il crollo dell’Unione Sovietica. La cooperazione in campo spaziale sembrò il modo migliore per creare nuovi rapporti con gli ex nemici e nel 1993 il vicepresidente Al Gore e il primo ministro russo Victor Chernomyrdin annunciarono l’avvio del programma della stazione spaziale “Alfa”, poi ribattezzata “International Space Station”.
Al progetto si unirono i Paesi membri dell’Agenzia Spaziale Europea, il Giappone e il Canada.
Il 20 novembre 1998 i russi lanciarono in orbita con un razzo Proton il primo elemento: il modulo Zarya. Due settimane dopo lo Shuttle Endeavour portò il “nodo numero 1”, chiamato Unity. I due elementi uniti formarono il primo embrione della stazione, che comprende 15 parti (compreso il modulo europeo Columbus) più gli enormi pannelli solari. Il montaggio in orbita, già in ritardo per le difficoltà economiche dei russi, subì una brusca battuta d’arresto con l’incidente del Columbia e ricominciò solo due anni e mezzo più tardi con la ripresa dei voli delle navette americane.
Oggi la costruzione è quasi ultimata e l’Iss è finalmente in piena attività. Ciò non significa che siano finiti i problemi. Con lo Shuttle che andrà definitivamente in pensione a fine anno e la rinuncia degli Usa alla nuova capsula spaziale Orion, si riapre il problema di i collegamenti fra la Terra e la casa orbitale. Per portare i rifornimenti ci sono i veicoli automatici Progress (russi) e i nuovi, più grandi Atv dell’Agenzia Spaziale Europea, ma per gli astronauti rimangono le capsule Soyuz: affidabili, però scomode e basate sulla tecnologia degli anni '60.
L’Europa ha pronto il progetto di veicolo spaziale derivato dall’Atv e gli americani hanno deciso di affidarsi ai progetti di aziende private, come la Space X, però ci vorrà qualche anno. Nel frattempo gli astronauti dovranno continuare stoicamente a raggomitolarsi nei minuscoli seggiolini della vecchia Soyuz.
Giancarlo Riolfo