Smartphone: cose dell'altro mondo

Tutti pazzi per i telefoni cellulari dell'era digitale, che si collegano al web e ai social network, dove l'iPhone ha cambiato le regole del gioco. Il rischio di una tecno-dipendenza.

Il pericolo di una slot machine in tasca

25/09/2012

Lo scorso luglio il sofisticato settimanale ‘New Yorker’ ha pubblicato una di quelle copertine con le quali, riassumendo una situazione complessa in una sola vignetta, si fa perdonare gli articoli chilometrici leggibili fino in fondo solo in aereo o a letto con l’influenza: una famiglia-tipo di 4 persone su un isola tropicale, tutti vestiti da classici americani in vacanza, e tutti intenti a digitare qualcosa sulla tastiera del proprio telefonino. A “stretto giro” ha fatto seguito il ‘Time’, dedicando, in agosto, un intera edizione al mondo “wireless” con annessa lista dei dieci modi in cui lo ‘smartphone’ o, come da sottotitolo: “il telefono che avete in mano” sta cambiando il mondo. I campi d’azione di questa rivoluzione senza fili, secondo la popolare rivista, spaziano dalla politica alla privacy dalla medicina ai rapporti sentimentali, ambiti che spesso, a giudicare dal tono degli articoli, questi onnipresenti telefoni/computer/telecamere sempre piu’ piccoli e sempre piu’ diffusi stravolgono e trasformano per il meglio. Spesso, ma non sempre.

Ci pensa ‘Newsweek’ (concorrente diretto del ‘Time’) a ricordare i costi umani, psicologici e sociali delle “magnifiche sorti e progressive” (di leopardiana memoria) del mondo wireless. La storia di copertina dal titolo “iCrazy” (iPazzo) che e’ gia’ tutto un programma, si lancia in un approfondito esame del vizio tutto americano dello “strafare”, nel bene e nel male, applicato ai PC portatili, i tablet, e soprattutto i telefoni intelligenti, sempre in tasca, sempre accesi, sempre connessi. Emerge allora che negli USA il teenager medio elabora 3.700 sms al mese, che oltre il 60 percento degli adulti controlla il suo telefonino ogni ora, di questi il 40% almeno ogni dieci minuti, e che il 68% lo tiene acceso sul comodino mentre dorme. E che certi ristoranti ormai non si limitano piu’ a proibire il telefono a tavola ma fanno addirittura lo sconto a chi lo lascia all’entrata.

Quel che sorprende – oltre ai numeri da trattato di psichiatria – e’ la scarsita’, strana in una societa’ innamorata della statistica, di studi onnicomprensivi in questo senso – l’articolo ne cita alcuni ma tutti abbastanza piccoli e marginali - come se collettivamente ci si stesse accorgendo solo ora del fenomeno. Dunque gli specialisti che studiano la “dipendenza” da email, social network e sms (causa ormai, sembra, di piu’ incidenti stradali dell’alcool ), e che soprattutto cercano attivamente di risolverla, sono ancora, in un certo senso “pionieri”. “Il problema c’e’ eccome: se non ci fosse sarei senza lavoro.” dice il Prof. David Greenfield, docente di psichiatria e titolare del “Centro per la dipendenza da Internet e tecnologia” di Hartford, Connecticut. E, almeno stando al suo racconto, di lavoro, lui sembra averne fin troppo. “I miei pazienti vengono da tutti gli Stati Uniti, e ogni settimana se ne aggiungono di nuovi” racconta Greenfield che agli effetti deleteri e perversi della tecnologia sulla mente umana si occupa dal 1997, ovvero molto prima che la tecnologia stessa fosse conosciuta – o almeno usata – dai piu’.

David Greenfield, docente di psichiatria e titolare del “Centro per la dipendenza da Internet e tecnologia” di Hartford, Connecticut, Stati Uniti.
David Greenfield, docente di psichiatria e titolare del “Centro per la dipendenza da Internet e tecnologia” di Hartford, Connecticut, Stati Uniti.

Nella sua esperienza le dipendenze piu’ diffuse, il gioco d’azzardo, i video giochi, la pornografia (la piu’ comune tra i suoi pazienti) non sono direttamente imputabili alla tecnologia, ma da essa vengono amplificate in maniera esponenziale. “Quando i vizi diventano interattivi sono piu’ eccitanti, hanno una marcia in piu’” spiega lo psichiatra che tra gli altri si avvale un esperto di informatica che disattiva a ‘monte’ le connessioni dei pazienti ai siti a rischio. “Avere i ‘vizi’ in casa a portata di mouse era gia’ pericoloso, immagini poterli portare sempre e ovunque con se. Per chi, ad esempio non riesce a smettere di giocare e’ come avere la slot machine in tasca: non c’e’ niente di peggio!” Ma l’effetto “slot machine” non riguarda solo i giocatori incalliti. Per attivare le stesse zone del cervello che inducono i “malati di azzardo” a rovinarsi la vita, e il conto in banca, basta la semplice posta elettronica. “Il meccanismo e’ esattamente lo stesso,” spiega il terapista. “Un email “piacevole” (un pagamento, un’offerta di lavoro, un invito galante) e’ come una mano vincente al videopoker: non sai quando, ma prima o poi arrivera’, e ogni volta che arriva continui a “giocare” sperando che presto ne arrivi un'altra. Sono questi piccoli ‘spruzzi’ di dopamina a intervalli imprevedibili, che costringono il cervello a continuare, in uno scenario in costante cambiamento, a cercarne e a stimolarne l’origine. In questo senso il fondatore di facebook e’ inciampato su un meccanismo potentissimo senza, almeno all’inizio, rendersene nemmeno conto.”

Che venga dal poker on line, dalle chat room erotiche o dai social network l’abuso di un mezzo paragonabile secondo Greefield alle droghe e all’alcool “nel senso che crea una dissociazione dalla realta’ spazio temporale, non necessariamente piacevole ma molto, molto potente” puo’ avere lo stesso devastante impatto di altre dipendenze piu’ classiche su salute, relazioni affettive e, ovviamente, rendimento professionale. Anche quando paradossalmente la tecno-dipendenza e’ legata al lavoro stesso: molto citato in questo senso e’ lo studio di Leslie Perlow, docente alla Harvard Buisiness school e autrice del libro “sleeping with you smartphone” (A letto con lo smartphone) che per un anno ha convinto la direzione della Boston Consulting Group, una delle maggiori ditte di consulenza finanziaria e aziendale del mondo, a “costringere” una volta a settimana i dipendenti, a tutti ilivelli, non solo a uscire degli uffici alle 6 ma, una volta usciti, a tenere spenti tutti i collegamenti a internet fino alla mattina dopo. A stupire in questo caso non e’ il risultato, cioe’ che la produttivita’ individuale e complessiva alla fine dell’esperimento e’ aumentata notevolmente, ma il fatto che per “staccare” alle sei, una volta a settimana, sia servita un imposizione dall’alto. Ma questo, probabilmente e’ tema per tutto un altro articolo.

Stefano Salimbeni
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