30/07/2012
Forse solo l’uscita dalla
famiglia di origine, con la
formazione della coppia e
la creazione di una famiglia
propria, rappresentano
ancora il simbolo
dell’uscita dall’adolescenza.
Maternità e paternità,
da sempre considerati parametri
di adultità, sono
però soglie evolutive attraversate
a un’età sempre
più avanzata suscitando carico
di ansia e insicurezza.
I “nuovi genitori” spesso
continuano a dipendere
parzialmente o totalmente
dalle proprie famiglie
di appartenenza sul piano
organizzativo ed economico.
Ma ricoprire troppo a
lungo il ruolo di figli rende
più complicato svincolarsi
per assumere quello
di genitori. Questi fattori
incrementano precarietà
anche identitaria alimentando
instabilità psicologica.
È in costante crescita il
numero delle persone che
restano nella casa dei genitori
oltre i trent’anni, e di
quelle che vi fanno ritorno
dopo un fallimento relazionale o lavorativo: tutto
ciò è sintomatico anche
di assenza di strutturazione
forte dell’identità di
adulto. Incapaci di immaginare
il prossimo passo,
intanto si torna indietro
sulla strada già percorsa.
L’adolescenza, in sintesi,
è dura da abbandonare,
persiste, e “tende a tornare”,
come fosse un momento
esistenziale che si
può vivere e rivivere. Vi sono
anche comportamenti
vissuti da adulti che esplicitano
il loro desiderio di
agire ancora da adolescenti
perché a suo tempo non
lo si è fatto abbastanza, rivelando
così che un’adolescenza
incompleta può avvelenare
l’adultità.
Esiste anche una moda
“adultescente”, stile adottato
indifferentemente da
bambini, adolescenti,
adulti: è il lato “commerciale”
del fenomeno.
Nell’ultimo decennio le
griffe che producono lo stile
kidult hanno avuto una
mirabolante crescita di
fatturato, arrivando a miliardi
di dollari. Cresce in
parallelo, soprattutto per
i ragazzi e gli uomini, la
tendenza a dedicare molto
tempo alle attività ludiche,
al videogioco.
Lo stile “adultescente”
è dunque anche un modo
di vivere che il business ha
sapientemente intercettato.
Il modo di essere “adultescente”
include gusti
musicali, cinematografici,
televisivi, e anche il linguaggio,
che da una parte
si carica di vezzeggiativi,
diminutivi, espressioni affettuose
infantili per far
sentire eterni bambini,
originali, creativi, colorati;
dall’altra dell’adozione
generalizzata di termini
trasgressivi, per essere adolescenti
con atteggiamenti
anche verbali di rottura.
L’“adultescente” permane
entro modalità che
danno vita a dinamiche
sociali e interpersonali
che investono la struttura
familiare. Il suo modo di
vivere la coppia si caratterizza
per il bisogno costante
di emozioni e intimità,
nonché per la tendenza a
drammatizzare e teatralizzare
sia i momenti più felici
sia quelli conflittuali.
I genitori “adultescenti”
difficilmente riescono
a esercitare le fondamentali
funzioni di guida verso
i loro figli. E non sono
sempre capaci di instaurare
un rapporto maturo di
“alleanza” con l’altro genitore,
anche durante la
convivenza. Non si fa fatica
a immaginare cosa può
conseguirne. Storicamente,
quindi, si è passati da
una generazione di genitori
“autoritari” a una
composta da adulti deboli
e remissivi, quasi “presi in
ostaggio” dai figli che trattano,
e da cui sono trattati,
da coetanei.
Maria Beatrice Toro e Maria Giovanna Ruo