Adultescenza: gli aspetti critici

Si tratta di un neologismo applicato a tutti coloro che, pur avendo raggiunto biologicamente l’età adulta, presentano un’identità con tratti adolescenziali.

Sulle tracce di un neologismo

30/07/2012

Adultescenza è un neologismo che indica il raggiungimento di un’età crono-biologica adulta, in persona con identità per molti versi ancora immatura con tratti adolescenziali. Ne emerge la figura di un individuo ancora profondamente condizionato dal permanere di idee, atteggiamenti e comportamenti tipici della fase giovanile. La fluidità della realtà contemporanea, con il suo continuo movimento e la sua indefinitezza, porta con sé una serie di modificazioni degli assetti delle persone che meritano attenzione, ascolto, analisi, ricerca delle motivazioni e, quindi, delle possibili soluzioni.

Se oggi molti adulti si trascinano in un’adolescenza che sembra non finire mai, procrastinando una fase della vita che dovrebbe essere transitoria, ciò non ha ricadute solo nel loro presente e nel loro futuro, ma anche in quello delle altre persone con le quali si relazionano. Non è solo il fatto che l’adolescenza, per le generazioni precedenti, terminasse prima e fosse accompagnata dall’uscita dalla famiglia di origine, dall’ottenimento di un lavoro stabile, dalla formazione di una famiglia propria, da una serie di traguardi che le persone raggiungevano perché considerati soddisfacenti e gratificanti, personalmente e socialmente (e quando venivano raggiunti gli apportavano al contempo sicurezza, maturità, solidità identitaria, in un circolo virtuoso che rafforzava il concetto di sé). Certamente, nelle cosiddette società evolute, il positivo allungarsi della durata della vita e della vita attiva comporta un differimento anche dei traguardi adulti: l’attuale situazione economica di “crisi”, con la difficoltà per le giovani generazioni di reperire attività stabili e sufficientemente retribuite per consentire un progetto di vita ritenuto adeguato, contribuisce nel differire i traguardi ritenuti prima fondamentali per l’ingresso nella vita adulta. Ne consegue spesso la dipendenza economica dalle famiglie di origine, da cui può conseguire a sua volta la dipendenza psicologica e sociale.

Ma non si tratta solo di questo: fermare l’analisi ai dati esterni è banalizzante e fuorviante; anche se si tratta di fattori influenti, non sono sufficienti a spiegare e a offrire la chiave di lettura corretta per un fenomeno molto più articolato. Dal punto di vista antropologico, secondo Van Gennep, “adultescente” è chi non ha effettuato un passaggio importante: la transizione all’età adulta è avvenuta in modo incompleto, complice il depotenziamento nella postmodernità dei riti di passaggio.

Questi hanno sempre rappresentato un dispositivo che aiuta l’individuo a mutare il suo status con l’intervento attivo della comunità; presenti in tutte le culture, ci informano su quali ne siano i valori condivisi poiché sottolineati nel rituale stesso. Accompagnano eventi importanti: la nascita, il passaggio della pubertà, la formazione della famiglia, la morte. Oggi i riti di passaggio appaiono aver subito un depotenziamento, segno che la maggior parte delle transizioni viene percepita come reversibile. Si tratta, più che di passaggi veri e propri, di “attraversamenti” che consentono di tornare indietro, dando modo all’individuo di mantenere la flessibilità necessaria ad adattarsi alle mutevolezze che la nostra società richiede. D’altronde ciò che era una risorsa (la solidità identitaria e relazionale) viene percepita come rischio, poiché potrebbe involontariamente condannare l’individuo a un destino di precoce obsolescenza, con l’esclusione da opportunità (lavorative e socio-affettive) che potrebbero affacciarsi all’orizzonte. Ciò che la liquidità implica, dunque, è di esser pronti a cogliere al volo nuove opportunità, sufficientemente svincolati e leggeri da poter viaggiare in ogni direzione.

Maria Beatrice Toro e Maria Giovanna Ruo
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