Le ragioni “calde”del dibattito
18/05/2011
Nelle sue fasi iniziali, il dibattito culturale, sorto per
affrontare e circoscrivere una tale “emergenza”, è esploso
e si è poi pian piano strutturato attorno a questioni
più propriamente tecniche e di gestione, istituzionali e
organizzative, ponendo in secondo piano la valenza educativa
e culturale delle principali agenzie formative, quali
la famiglia, la scuola, la parrocchia o il variegato mondo
delle associazioni. In un secondo momento, tuttavia,
hanno cominciato a raccogliere via via sempre più interesse
e consenso numerosi convegni, studi e rapporti scientifici basati sul ripensamento
dello stesso sistema
scolastico e, soprattutto,
del sistema dei processi
educativi e formativi globalmente
intesi.
Possiamo, dunque, ipotizzare
che questo rinnovato
interesse per le problematiche
educative abbia,
tra le sue radici più profonde,
una serie composita di
fattori strutturali, strettamente
connessi alle più appariscenti
trasformazioni
socio-culturali registrate
negli ultimi tre o quattro
decenni all’interno della
società occidentale industrializzata.
Trasformazioni
che, di fronte al succedersi
di situazioni ed eventi
sempre meno controllabili
dalle stesse istituzioni
(è sufficiente riportare alla
memoria i gravi episodi
del bullismo a scuola o lo
sconsiderato utilizzo dei
media da parte dei bambini
e degli adolescenti),
non riescono più a contenere
quel reiterato e convincente
appello che denuncia
l’emergenza di
“tornare a educare”.
- A tal riguardo, una
tra le emergenze più a lungo
segnalate negli anni
scorsi (come purtroppo
ancora oggi), appare, senza
ombra di dubbio, il disagio
diffuso che connota la
condizione di vita dei giovani
italiani (ma non solo),
e che si esprime nelle
forme più variegate, e spesso
ritenute impensabili:
dall’urgente “ricerca di
senso” da applicare alla
propria esistenza, al continuo
desiderio di affermare
la propria identità, di
cui, però, non si è ancora
certi e totalmente padroni;
dal lamentare la totale
assenza di certezze, sia affettive
sia economiche e
professionali, all’aggrapparsi
alle rischiose forme,
vecchie e nuove, di dipendenza.
E queste, solo per
riportarne alcune.
- Sulla stessa linea di
problematicità, e di conseguente
denuncia sociale,
si colloca l’articolato fenomeno
dell’immigrazione.
Di fatto, esso abbraccia
buona parte dei Paesi occidentali,
tra cui anche l’Italia,
e, per via dell’inevitabile
“incontro-scontro” fra
le culture chiamate in causa
(quella del Paese ospitante
e quella del Paese di
provenienza delle persone
immigrate), richiede
un ripensamento radicale
delle “pratiche educative”,
soprattutto nei modi in
cui erano concepite fino a
non molto tempo fa. Ciò
allo scopo di ampliare
l’orizzonte qualitativo delle
relazioni interpersonali
e, così facendo, avviare i
necessari processi di integrazione
sociale.
- Anche il mondo della
scuola e della formazione
professionale si affaccia
nel “torbido stagno“
dell’emergenza educativa.
Innanzitutto perché
l’Italia non è pienamente
al passo con la maggior
parte degli obiettivi fissati
dal Consiglio europeo di
Lisbona del 2000, in vista
del 2010: il tasso di dispersione
scolastica (19,3%),
per esempio, si mantiene
ancora al di sopra del limite
consentito, attestato attorno
al 10% dalla strategia
di Lisbona; o, ancora,
la percentuale di giovani
(tra i 20 e i 24 anni) che
hanno portato a termine il
ciclo dell’istruzione secondaria
superiore (75,5%) è
al di sotto dei risultati previsti
e sperati (85% entro il
2010), e inferiore anche rispetto
ai punteggi medi ottenuti
dagli altri Paesi
membri dell’Unione europea
(77,8%) .
In seconda battuta, perché
nel nostro Paese continua
a crescere in modo
esponenziale il fenomeno
del bullismo (anche nella
sua versione cyber, più legata
a un utilizzo inappropriato
e disfunzionale dei
più avanzati mezzi di comunicazione
tecnologica,
come il cellulare, il Pc,
l’iPad, la trama dei Social
Network, etc.), che coinvolge
(tra bulli e vittime) circa
il 35% degli alunni della
scuola secondaria di primo
grado, e ben il 20% dei
giovani della scuola secondaria
di secondo grado.
Se, per comprendere alcune
delle cause che generano
questa fastidiosa piaga
del nostro sistema formativo,
ci si pone dal punto
di vista della famiglia,
ne emerge che quasi il
58% delle madri e dei padri
intervistati attribuisce
la responsabilità principale
di tale smisurata diffusione
al tipo di educazione
ricevuta in famiglia;
che il 51,4% rinvia a problemi
di natura relazionale,
il 32,7% lo motiva col
fatto che i bambini e i ragazzi
vengono troppo
esposti alla crudeltà e alla
cupa violenza delle scene
viste in Tv, al punto che desiderano
imitarle, e che,
infine, il 24%dei genitori
crede che il bullo sia un
“soggetto” prepotente e
aggressivo per natura.
- Infine, non bisogna
dimenticare gli effetti sociali
che scaturiscono dalle
attuali modalità di utilizzo
e gestione dei new media
e delle piattaforme dei Social
Network (per esempio:
Facebook, Twitter, My Space,
Second Life, etc.).
Il procedere inarrestabile
dell’evoluzione tecnologica
e la sempre più incalzante
diffusione sia dei
mezzi, sia dei siti di incontro
sociale, stanno determinando
nuove modalità,
sempre più virtuali, per fare
conoscenza e per stringere
legami con gli individui,
e, soprattutto, stanno
introducendo cambiamenti
non indifferenti nei processi
di costruzione dell’identità
personale. Ormai,
non è più così sconosciuta
la formula dell’identità
emergente, spesso adoperata
nei contesti comunicativi
e commerciali,
che dipinge l’identità costruita
sul web come caratterizzata
da un’ambigua e
pericolosa fluidità.
Nessuno intende demonizzare
questi nuovi aspetti
legati alla comunicazione
interpersonale e di
gruppo, e, soprattutto, i
mezzi destinati a tali scopi. Anzi, ne riconosciamo sicuramente
lo speciale valore
innovativo per la nostra
civiltà. Tuttavia, ciò che occorre
progettare seriamente
è proprio la correttezza
dell’approccio e della fruizione
a essi stessi.
Simone Bruno e Orsola Vetri
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