01/12/2011
Viviamo in una società che diviene sempre più povera,
le risorse appaiono a rischio di catastrofica
estinzione, l’immaginario collettivo (e individuale)
è traumatizzato da una realtà saturante, intrisa di
precarietà, ma portatrice di modelli e modi di essere
fortemente adesivi perché, in quanto precostituiti, si
propongono come rassicuranti.
Modelli che vengono
somministrati seduttivamente, anticipando e riducendo
la possibilità della costruzione di un immaginario
soggettivo e transizionale, lungo un percorso di passaggi
e trasformazioni graduali, verso il raggiungimento
del necessario compromesso tra desiderio e realtà.
In questo contesto, il desiderio di generatività sembra “smarrirsi” in un tempo di esitazione che non trova sufficiente sostegno e protezione, poiché smarrite e non raccolte sono le emozioni che rimandano a un incontro con il proprio antico infantile.
La filiazione tocca profondamente la questione del femminile, che riguarda ogni persona, e il legame tra maschile e femminile nella coppia. Se nella coppia non c’è una sufficiente coniugazione tra tenerezza e passione, sarà arduo abbandonarsi alla necessaria regressione, alla propria vulnerabilità, luogo di cure che evocano inermità e totale dipendenza.
“Abbandonarsi” richiede la sicurezza di “ritrovarsi”. Il desiderio si ritirerà nella rinuncia, di fronte a un immaginario esigente e mortificato, e di fronte a una realtà esterna crudele e abbandonica.
Desiderio e paura del futuro si confondono indistintamente, sono persi i punti di riferimento per la paura di vivere senza aiuto. Può essere un’estrema, distorta misura di protezione verso un figlio non-nato?
La rinuncia, consapevole o no, è comunque luttuosa perché è la rinuncia all’espressione di una parte dell’umano che cercherà altre vie di continuità della vita e di creatività, che a volte sono sane e benefiche, mentre a volte prendono la via di scarica di una sofferenza impensabile. Sul quotidiano La Repubblica del 23 novembre 2011 compare un articolo dal titolo: “Il sorpasso del figlio unico”.
Riporta il dato Istat della maggioranza in Italia delle «famiglie verticali»: padre, madre e un solo figlio, «una metamorfosi di massa, dove il ritratto del figlio unico si polverizza e moltiplica per migliaia di figli unici, che in qualche modo poi diventano, anche, fratelli». Ma già dal 2007, in Francia, si segnalava un fenomeno più restrittivo. L’Institut national d’études démographiques prevedeva che entro il 2010 il modello familiare più diffuso sarebbe stato quello di una madre sola che alleva un figlio unico. Il numero di famiglie organizzate sul vecchio modello diminuisce e crescono le “nuove famiglie”: famiglie che non sono legate dal matrimonio, quelle in cui c’è un solo genitore, quelle ricostituite, quelle con partner dello stesso genere. Sono situazioni nuove che richiedono riflessione, nuove teorie e modelli di comprensione, oltre che la necessaria regolazione istituzionale.
Claudia Balottari