I Dieci Comandamenti in giro per le piazze

A settembre, poco prima dell’apertura dell’anno della fede, partirà il progetto “Dieci piazze per Dieci Comandamenti”.

Non divieti, ma promesse

01/10/2012

«La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi» (Sal 19, 8 ss). Dunque, le Dieci Parole, sono la misura del nostro rapporto con Dio, con il prossimo, con noi stessi. Sono legge eterna d’amore; di un amore dato e ancora da ribadire e da esperimentare.


Dieci Comandamenti. Non è preciso definirli così, o meglio così intenderli dopo la venuta di Gesù Cristo, il “perfezionatore” delle leggi date a Mosè: l’amore non si impone, l’amore non costringe! L’amore è bellezza, bontà, offerta della vita nella gioiosa rinunzia di sé. A ben vedere, poi, i verbi ebraici non sono degli imperativi, ma dei futuri. Andrebbero tutti coniugati al futuro, come il primo Comandamento. Si coniugano al futuro e si declinano nella nostra vita al presente, perché con essi entriamo nella realtà di Dio, “nel realismo della fede”. Non sono divieti, al meglio consigli: sono promesse divine. Ed è straordinario osservare che queste Dieci Parole, per il popolo d’Israele, diventano “la Legge”, la legge di un popolo che riceve da Dio la sua “costituzione” prima di diventare una “nazione” in una terra promessa. La storia del popolo di Dio, che nelle Dieci Parole trova la sua identità e il suo destino, è la storia del mentre, non del principio. “In principio” è Dio; “nel mentre” la storia dell’uomo. La rilettura del Decalogo è un’azione profetica, dal contenuto altamente profetico, in un tempo in cui la fede sembra oscurata dalla presunzione umana di considerare Dio lontano, assente; al meglio un Dio da rendere presente con un “vitello d’oro”, surrogato dei desideri sfrenati dell’uomo.


Dobbiamo essere coscienti che il credere deve implicare la manifestazione della potenza di Dio, dei segni che ancora cadono dal Cielo come le Dieci Parole sul Monte; che il Cielo è aperto su di noi; che nessuno sforzo umano, nessuna manovra finanziaria contro la crisi, nessuna scoperta scientifica, nessuna giustizia sociale basteranno mai a rendere plausibile, conveniente, accettabile, “compatibile” la nostra fede con il tempo corrente. Il Decalogo ci dice come orientarsi alla vita eterna e non fallire la vita terrena; come essere veramente uomini in un tempo che spesso rasenta la bestialità istintiva; come essere figli di Dio in un tempo in cui l’obbedienza alla Parola di Dio per molti credenti è una iattura, un incomodo, una pena, un limite alla modernità, al meglio una possibilità tra tante altre. Del resto la storia si ripete: già gli ebrei fuggivano agli ordini di Dio, si ribellavano a Mosè e infrangevano l’alleanza che Dio aveva stipulato con loro. Lasciamo, allora, che ancora Dio prenda l’iniziativa: non solo vuole la nostra liberazione dalle tante schiavitù moderne, ma vuole anche riaffermare la sua alleanza con noi. L’uomo non è mai, da solo, il protagonista della storia. Occorre includere Dio, reincludere Dio nell’orizzonte umano: Egli non è il limite della nostra libertà umana.

Salvatore Martinez
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