25/10/2011
Contrariamente alla tenace aspettativa
di un cammino verso la salute costellato
di interventi risolutivi, la crescita
nella dimensione della salute
che caratterizza la persona richiede
un impegno della persona stessa. Ancor
più esigente è l’accesso alla dimensione
transpersonale, che indica
l’adozione di quell’atteggiamento
fondamentale verso la vita che è proprio
della tradizione religiosa e sapienziale.
La vita trascende l’aspetto
di una proprietà che si deve gestire responsabilmente:
si presenta piuttosto
come un dono, a cui si partecipa mediante
la modalità della comunione.
La porta d’ingresso nella dimensione
transpersonale è costituita dalla categoria
del pathos, che ci porta a trascendere
il territorio ora presidiato
dalla bioetica. Lo stato di coscienza
transpersonale ci indica un atteggiamento
verso la vita che non sia modulato
esclusivamente sulle categorie
dell’azione (anche se si tratta di
un’azione che accetta di lasciarsi confrontare
con i limiti posti dall’etica).
La bioetica si trova molto impegnata a
mettere dei confini al desiderio: di generare
figli con certe caratteristiche e
a certe condizioni, di prolungare la vita
o di abbreviarla, di modificare il patrimonio
genetico ecc. In breve, la
bioetica è confrontata con le mille trasformazioni
dell’eros, cioè del desiderio
e del potere dell’uomo sulla vita.
Nelle sue infinite espressioni, l’eros
ci presenta la vita come un campo di
intervento illimitato, grazie all’aumento
di possibilità dovuto al progresso
scientifico e tecnologico. L’ebbrezza
di interventismo attivo sulla vita, tipica
della cultura occidentale, è centrata
sulle possibilità di tutto conoscere e
tutto cambiare. Ma anche il pathos,
cioè la modalità di esistenza che dipende
non da ciò che facciamo ma da ciò
che subiamo, è una dimensione costitutiva
della vita. La determinazione volontaria
è entrata pesantemente anche
in fatti esistenziali che prima venivano
fatti dipendere dal caso o dalla
provvidenza: come il numero e la temporalità
delle nascite, e il momento di
arrendersi alla morte. Tutto ciò ora
tende a dipendere dall’azione dell’uomo.
Questo sbilanciamento unilaterale
verso l’azione produce una deformazione
antropologica: l’uomo che
aumenta il potere arbitrario su sé stesso
non diventa ancor più uomo, ma
una caricatura. Abbiamo bisogno di integrare
la modalità “patica” dell’esistenza
nel repertorio dei comportamenti
che costituiscono l’umano autentico.
La “passione”, infatti, e non solo
l’azione, costituisce una possibilità
di crescita. Anzi, la pazienza – virtù
correlata ai comportamenti che dipendono
dal pathos – ci può far arrivare là
dove l’azione non ci può portare. “Passività
di crescita” ha chiamato Teilhard
de Chardin questi eventi dell’esistenza
che richiedono la pazienza come
risposta comportamentale. La passività
costituisce, rispetto all’azione,
l’altro braccio con cui Dio ci attira a
sé; la pazienza è virtù che si appropria
di queste possibilità di crescita.
La bioetica non ha il compito di
porre limiti e scadenze al desiderio. Il
suo obiettivo, espresso positivamente,
è quello di far emergere l’interpellazione
presente in ciò che la vita ci fa
subire. Deve educare il desiderio a riconoscere
la voce del pathos, ad aprirsi
a questo “Tu” che ci viene incontro
nella durezza di ciò su cui non abbiamo
potere. Anche questo atteggiamento
recettivo verso la vita – qualificabile
come spirituale – ha bisogno di
essere incluso nella saggezza richiesta
dai tempi nuovi che stiamo vivendo.
Finora ci siamo occupati di contrastare
le inclinazioni faustiane del progresso
biomedico, mediante accurate
valutazioni del lecito e dell’illecito
nell’ambito della genetica, della biologia
e della nuova pratica della medicina.
Per essere completa, la sapienza
esistenziale ha bisogno di integrare
anche quanto la vita, come festoso-tragico
gioco dell’Essere, veicola attraverso
il pathos, riconoscendo il limite
e inducendoci al loro trascendimento.
Ed è compito di chi promuove
quello stato di coscienza che nasce
dall’esperienza della vita come dono
a cui si partecipa, quale è concettualizzato
all’interno del movimento transpersonale,
stimolare le persone, sane
e malate, a confrontarsi anche con
quest’ultimo orizzonte.
Sandro Spinsanti