25/10/2011
La richiesta di un farmaco sintetizza
in modo efficace la domanda che,
per lo più, viene rivolta ai professionisti
della cura. E, da un punto di vista
sociale, la capacità di una società di rispondere
a tale richiesta garantendo
a tutti i cittadini che ne hanno bisogno
i farmaci necessari, indipendentemente
dalle loro capacità economiche,
è considerato un criterio di buona
organizzazione sanitaria. Il trattamento
richiesto è inserito in un modello
di aspettative che, nei termini
trasmessi dalla classicità, viene formulato
come restituito ad integrum. In termini
colloquiali, il malato chiede almedico di “tornare come prima”. La
malattia viene considerata come antitetica
alla salute: quando c’è l’una,
non c’è l’altra. L’irrompere della patologia
sconvolge l’equilibrio sano
che la precedeva. Dall’intervento medico
ci si aspetta che riporti la condizione
precedente. Diverso è il modello
implicito in chi propone al malato
di indagare il significato del sintomo
e si propone di aiutare il paziente ad
accedere a uno stato di salute superiore:
non, dunque, tornare alla condizione
precedente, identificata con lo
stato di salute, ma procedere verso
una condizione nuova, caratterizzata
anzitutto da una maggiore consapevolezza
e quindi, in senso antropologico,
da una più grande salute. Ebbene,
questi due approcci possono entrare
in conflitto, o in dissonanza.
Per lo più i pazienti vanno dal medico
per essere guariti, non per essere
condotti verso una più alta concezione
della salute. Ogni programma di
educazione terapeutica rivolto al paziente
deve tener conto di questa fondamentale
asimmetria di attese, dalla
quale possono scaturire dolorosi malintesi.
Eppure niente è più tradizionale
in medicina dell’intento educativo,
parallelo a quello terapeutico. Ne
possiamo rintracciare le radici nella
stessa medicina greca, che contiene
in sé il codice genetico di tutta la medicina
occidentale. È vero che Platone
ne La Repubblica non risparmia
frecciate ironiche contro la medicina
che insegna ai pazienti a “prolungare
la loro morte”. Propone come esemplare
il comportamento degli artigiani,
che conoscono solo la medicina
curativa, non quella che permetterebbe
loro di prolungare la vita nello stato
di patologia cronica: «Un falegname,
quando si ammala, chiede al medico
di dargli una pozione che gli permetta
di vomitare o di evacuare la malattia,
oppure lo prega di guarirlo cauterizzando
o incidendo. Se però gli
viene prescritta una lunga cura, se deve
avvolgersi il capo con berretti di lana
o cose del genere, dice subito che
non ha tempo di essere malato, e vivere
ascoltando la sua malattia e trascurando
il lavoro che lo attende non gli
serve nemmeno. Poi egli congeda un
medico simile, ritorna al regime consueto,
recupera la salute e vive del suo
mestiere; se invece non sarà abbastanza
forte per sopravvivere, si libererà
dai suoi malanni con la morte» (La Repubblica,
III, XV).
La medicina applicata alla cura delle
malattie che non guariscono è per
Platone una deviazione dall’arte medica
originale: «Asclepio aveva celato
questo aspetto della medicina non
per ignoranza o per inesperienza, ma
perché sapeva che in uno Stato con
buone leggi ogni cittadino ha il suo
compito e deve eseguirlo, e non ha
tempo di passare la vita a farsi curare
le sue malattie» (ibid.). Dietro la posizione
di apparente predilezione per
una selezione naturale di tipo
darwiniano, possiamo leggere un alto
apprezzamento per la natura (physis)
e la sua saggezza, congiuntamente a
una messa in guardia rispetto alla deformazione
antropologica e allo squilibrio
sociale che si creano quando la
salute da mezzo diventa fine.
Malgrado le riserve formulate da
Platone, la medicina antica ha sviluppato
un carattere profondamente pedagogico.
Lo documentano i testi dietetici
e igienici che compaiono fin dagli
esordi del pensiero medico e che
sono parte cospicua del Corpus hippocraticum.
Il motivo va rintracciato nella
teorizzazione antropologica che
ipotizzava uno stato “neutro”, intermedio
tra la salute e la malattia. Coloro
che, né sani né malati, si trovano in
questo stato intermedio, sono anche
essi soggetti alle cure mediche, almeno
sotto l’aspetto della diaita (la dietetica
greca regolamentava sei ambiti:
aria e luce, mangiare e bere, movimento
e riposo, sonno e veglia, secrezioni
e affetti). Secoli più tardi, all’alba
delle trasformazioni culturali che
condurranno alla medicina dei nostri
giorni, Jules Romains nella commedia
Il dott. Knock o il trionfo della medicina,
rappresentata per la prima volta
nel 1926, mette in bocca al protagonista
una dura requisitoria contro la
“neutralità”. Perché si possa celebrare
“il trionfo della medicina” – sostiene
il dott. Knock, partigiano della teoria
che «ogni sano è un malato che si
ignora» – è necessario condurre la popolazione
ignara all’“esistenza medica”.
Al medico suo predecessore nella
condotta rurale spiega la propria strategia
di “promozione della salute”:
«Voi mi date un cantone popolato da
qualche migliaio di individui neutri,
indeterminati. Il mio ruolo è quello
di determinarli, di condurli all’esistenza
medica. Io li metto a letto e guardo
ciò che ne potrà venir fuori: un tubercolotico,
un neuropatico, un arteriosclerotico,
ciò che si vorrà, ma qualcuno,
buon Dio! Qualcuno! Niente mi irrita
come quell’essere né carne né pesce
che voi chiamate essere sano».
È sempre più difficile allontanare il
sospetto che dietro i programmi di
educazione alla salute, come quelli
che nell’immaginario Paese di St.
Maurice lancia, con la collaborazione
del maestro, l’intraprendente dott.
Knock, ci sia un’abile strategia di “medicalizzazione”
della vita. Per quanto
l’educazione si presenti come orientata
“al bene del paziente”, si sviluppa
sotto il segno del potere medico: un
potere nei confronti del quale ai nostri
giorni sta crescendo la diffidenza.
Poche sono le esperienze storiche
di educazione alla salute nate con un
esplicito intento di costituire un contropotere
medico. Tra di esse andrebbe
almeno segnalato il movimento
americano noto come Popular Health
Movement, sviluppatosi negli anni ’30
e ’40 del XIX secolo, in vivace contrasto
con la medicina accademica. Il
movimento non era che il fronte medico
di un’agitazione sociale più vasta,
fomentata dai movimenti operaio
e femminista. L’attacco all’élite medica
era accompagnato da una vigorosa
affermazione della tradizionale medicina
del popolo. Every man is own
doctor: era il motto di un’ala estremista
del Popular Health Movement. Per
certe sue iniziative il movimento per
la salute confluiva negli obiettivi del
movimento femminista, come le Ladies
Physiological Societies, che impartivano
semplici istruzioni di anatomia e
igiene personale, sotto la spinta a
“riappropriarsi del corpo”. Il movimento
non rivendicava una maggiore
quantità di cure mediche, ma prospettava
piuttosto una cura della salute di
tipo radicalmente differente. Era una
sfida alla medicina ufficiale, sia al modo
in cui veniva praticata, sia alle basi
concettuali del suo edificio.
Sandro Spinsanti